giovedì 11 dicembre 2008

In penombra




Avevo poggiato la mano aperta sulla tetta sinistra e sognato paradisi lontani e spiagge e sole e cieli azzurri e l’erba umida come al mattino – e fanculo se non aveva una quarta -. Faceva caldo da morire sotto le coperta grossa di lana che copriva un letto grande ma non troppo quando in due si ha bisogno l’un dell’altro, si sente bisogno l’un dell’altro, si ha voglia di stare l’un con l’altro. Faceva caldo da morire dentro la stanza dalle mille ombre illuminata solo dal candore della luna.

Non pensarci mi aveva detto – ma io ci pensavo eccome a momenti, come se ci fossi stato, se l’avessi vissuto perché in fondo l’avevo vissuto, attraverso i racconti, la fantasia, le intuizioni.

L’avevo spogliata pian piano e baciata sulle labbra – Sei bella – e mi ero addormentato con la mano poggiata sulla tetta sinistra, quella più lontana.

Il mattino aveva bussato alla porta prepotente con i suoi raggi di sole gialli infuocati e il vento irruento che bussava alle finestre. Avevo infilato la testa sotto il cuscino e guadagnato attimi preziosi, poi avevo ceduto e mi ero alzato e avevo fatto buio. Non avevamo fatto l’amore perché non ci andava, a me andava, a lei no e quindi che mi andasse o meno poi alla fine era la stessa cosa.

L’avevo tirata verso me di lato e viso a viso avevamo dormito ancora un po’. Non parlavamo d’amore, non c’era amore o non quello che si intendeva di solito, c’era affetto, complicità, voglia di star bene, c’erano sorrisi, c’era prendersi in giro, non prendersi sul serio, c’era ascoltarsi e rispettare gli spazi, c’era il suo fidanzato. Non per ultimo, c’era il suo fidanzato, non l’avevo dimenticato, c’era il suo fidanzato.

- Un tipo strano - diceva lei, che avrebbe lasciato a momenti, non per me, l’avrebbe lasciato e basta – E poi alla fine pensi ci siano persone che non si tradiscono, che non si baciano, che non si sfiorano, toccano, scopano nonostante quelle ipocrite promesse d’amore? – Non avevo mica saputo rispondere.

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mercoledì 10 dicembre 2008

Un passaggio





Io glielo avevo dato lo stesso un passaggio. Un carnevale di 15 anni prima ci eravamo messi le mani addosso, questione di coriandoli e bombolette spray, poi più nulla, oltre dieci anni di silenzio, non mi aveva più parlato, a vederlo mi sembrava non lo avesse più fatto con nessuno.

Si era avvicinato tendendomi la mano – Ciao, come stai – e mi aveva chiesto un passaggio tutto d’un fiato con lo sguardo rivolto verso terra senza dire altro. Come se ci fossimo salutati altre volte, come se le nostre vite si fossero incrociate in qualche occasione che non riguardasse la questione dei coriandoli e delle bombolette spray. Un passaggio ci aveva fatti incontrare, un servizio, un piacere, un occasione o come si volesse chiamarla. Dipende come le guardi le cose.

Avevo allungato la mano e sorriso – Finisco alle sette e mezza –

Lavorava in qualche peschereccio e il suo odore copriva quello non troppo gradevole di Jimmy, così nonostante il freddo avevo aperto un poco i finestrini e respirato a scaglioni, una volta ogni curva, una volta ogni chilometro, una volta e basta in tutto il resto delle strada. Io glielo avevo dato lo stesso un passaggio. In macchina neanche una parola, sguardo fisso al finestrino,sguardo spento verso l’orizzonte, sguardo rivolto dalla parte opposta. Era sceso e non né avevo sentito la mancanza, avrebbe probabilmente continuato a non salutarmi, forse a non salutare nessuno.

Per alcune decine di mesi ero stato il burattino di corte, al servizio di chi doveva risolvere i propri problemi, alla corte di chi chiedeva ma dava da un'altra parte, al cospetto di chi, accecato da quella sensazione, avevo servito senza domandarmi se fosse giusto. Neanche quello mi doveva mancare, sorretto da una banda di rustici compagni, burdi e leali, scontrosi ma onesti, divertenti ma sinceri, loro che mi avevano sempre detto le cose come stavano, senza paura di ciò che erano nè dei giudizi della gente, loro senza bisogno di essere universalmente riconosciuti, loro dalla barba di qualche giorno, quelli curati ma quando né hanno voglia, schiavi di nessun pregiudizio sociale, liberi di fare le cose che attraversavano il cervello, liberi di vivere.


Per alcune decine di mesi ero stato il burattino di corte poi avevo parcheggiato e fatte le scale avevo ricominciato a scrivere, tutto di fila, senza fermarmi, senza pensarci, per il gusto di farlo, per la voglia di buttarlo giù.

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Avvisi Bacheca



Diciamo che pavoneggio, stabacco, studio e sPietro in attesa del Venerdì Cagliaritano. - Easy Drink - mi ha detto Reddu, - Pren’e udda – aveva aggiunto un altro ma sappiamo come vanno certe cose.

Al di là degli incentivi vari volevo avvisare Doris che non mi sono dimenticato dei Test Laurea e chiedergli quanto tempo mi concede ancora, dire a Raffaele che forse una piccola macchina fotografica tra le due proposte mi arriva e mi aspetto qualche spiegazione da lui, dire ad Ale Ferro che - a giorni ti chiamo e ti racconto due cose – a Elisabetta volevo ricordare che da oggi diamo via al patto di non belligeranza, volevo avvisare Martu che Venerdì scendo a Cagliari e si deve far vedere, volevo dire a Lorenzo che Berlino mi piace un sacco e se mi dovessi ricordare altro sarò lieto di avvisare in questo stesso post.

Si avvisa inoltre che sto cercando una stanza anche doppia dove trasferirmi con tutto il mio capitale romano anche se per breve periodo, chiunque dovesse sapere qualcosa sa dove cercarmi. Si avvisano gli studenti Lumsa che le date d’esame sono uscite.

Mi sembra per il momento possa bastare.

Cordiali Saluti

La Redazione di Gandhinews

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lunedì 8 dicembre 2008

Dipinto a sei mani


Dita su dita e mani sudate che si uniscono in un abbraccio, corpi che si avvicinano, labbra su labbra, lingue impazzite incontrollabili scivolose, corpi che si scaldano e stringono, sangue che scorre e cuore che pompa follemente pompa sangue che invade vene e le gonfia, pressione alta, altissima, occhi che sorridono complici - Ce l'abbiamo fatta - occhi che si schiudono

- Come può tradire una persona innamorata ?! – aveva chiesto
Come se la merda non tornasse a galla prima o poi putrida e lercia come una domanda ipocrita e le parole viscide sfuggenti di chi si prende il lusso di provare a mettertela nel culo senza saperlo fare.

Angoscia, nodi che si stringono come corde robuste alla gola, ancora più strette, soffocamento, cuore che rallenta il ritmo poi aumenta poi rallenta, buio orgoglio disperazione lacrime che solcano il viso e inumidiscono il labbro, castelli che crollano, castelli di sabbia che crollano al primo sospiro profondo.

- Dimmelo tu – avevo risposto, pur conoscendo bene l’argomento

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sabato 6 dicembre 2008

L'orologio degli Dei


Bevo un sorso d’acqua e sento la sete alleviarsi pian piano, ne bevo un altro e un altro ancora ed è come quando esco dal fondo del mare senza fiato e respiro profondamente e mi sembra di nascere in quel momento. Appoggio il bicchiere asciutto prosciugato e inutile senza liquidi, poggio la mano sulla spalla di chi trovo lungo la mia strada ed esco.

Oggi non l’ho sentita, non ho risposto alle sue chiamate insistenti nè al richiamo della solitudine, ho chiuso il libro e la lettera che un giorno mi aveva scritto in preda alla follia di una penna che scorreva da sola come nell’olio come trainata da una forza invisibile e travolgente come indemoniata e impazzita inferocita e inafferrabile e sono uscito e ho guardato il mare e in silenzio mi ci sono avvicinato, la costa era imponente e deserta e io ho avvicinato il mare e a piedi nudi ho sentito il freddo dell’acqua azzurra di Dicembre e poi la sabbia grossa e fastidiosa sulle dita e ho ripercorso la strada al contrario e ho pensato che avrei potuto cambiar vita mollare tutto e tornare indietro, fare come in certi libri e in certi film, vivere del mare e della pioggia del freddo e del caldo e degli abbracci e delle pacche sulle spalle di qualcuno tra un mirto e un’inchnusa e una battuta scontata dopo pranzo e prima di sera per poi addormentarmi sereno come padrone incontrastato del mondo, del mio mondo.

Come se oltre il mare fosse il vuoto

Avevo pensato a giornate gelide come la neve sulle mani nude e a quegli errori che spesso mi rimproveravo, prima del giorno in cui avevo smesso, dicendomi di guardare avanti cercando di arraffare il futuro aggrapparmici come a tutte le cose incerte perché nell’incertezza c’è sempre stata la vita, nella certezza – fanculo alla certezza – avevo pensato, le certezza è la morte di tutte le cose nella certezza non cè scoperta né curiosità né stupore né quella vita stessa che io volevo proteggere per il poco che potevo, finchè l’inquilino su in alto me lo avrebbe consentito.

La vita o è un’audace avventura o non è niente avevo sentito una volta mentre il mare scuro e profondo e misterioso sotto i piedi trasportava quel barcone grande quanto mille balene bianche verso un porticciolo di pescatori di un piccolo villaggio della provincia sarda.

Cosa né sai, le avevo detto , cosa né sai Adesso, mentre prima di dormire sento il cuore dentro battere come un tamburo picchiato dalle mani di mille negroni possenti e i miei occhi sono lucidi e umidi di malinconia e ricordi e amore rubato strappato come un bimbo dalle braccia della madre, adesso che ascoltando le tue urla la tua voce tremante i tuoi lamenti i tuoi dolori non capisco cosa succede e dove’è finito il sorriso accecante dei tuoi occhi caffè delle tue espressioni bizzarre e sconce buffe disneyane e il tempo scorre e non cambia niente e mi sembra di impazzire, cosa né sai della luce con cui mi hai travolto la prima volta che ho appoggiato le mie labbra alle tue..e altre cose ancora le avevo detto nella mia testa, un attimo prima di dormire

Un filo di luce aveva attraversato la tenda azzurra, un nuovo giorno, di quelli incerti in cui puoi immaginarci dentro tutto ciò che vuoi e passare le ore a riempirlo di ciò che hai immaginato nel tempo scandito dall'orologio degli Dei.

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sabato 29 novembre 2008

S'Astaria




Attraverso mari in burrasca per scoprire l’inverno di un'isola lontana qui che l'inverno è un altra cosa anche se il mare resta il posto più popolato anche quando il freddo gela campi in erba paradiso di pecore e buoi e dei loro pastori dai pantaloni in velluto sempre un po’ imbronciati con le loro urla e i loro bastoni nel silenzio della campagna e il resto è deserto o quasi, come nei vecchi film western, un paese fantasma con qualche cadavere fuori dai bar a bere birra o mirto e dire la sua sull’ultimo morto di Ilbono o sui terreni confiscati a Francheddu o sul figlio dei Cau che spaccia e si buca sotto i piedi perché così non se ne accorge nessuno e ruba a volte, così hanno detto almeno a s’Astaria che ruba a volte e poi qualche ragazzino a impennare per il corso senza casco e qualche volta a sfasciarsi a terra e sfondarsi il cranio povera anima volata in cielo pianta da tutti quelli che diranno che era un bravo ragazzo finito nell’abbraccio di cattive compagnie e poi le ragazzine con i seni in vista per conquistare il più burdo del paese che però ha la moto truccata e la Clio assetto ribassato e offre la coca, non la fa mai pagare la offre e anche se non ha la terza media a letto è un toro dicono, lui che è cresciuto nella strada figlio di una vita difficile che non gli ha concesso i privilegi degli altri lui che se l’è sempre dovuta sbrigare da solo e se ruba o spaccia o fa del male è perché è la vita non perché è uno stronzo senza voglia di fare un cazzo. La domenica i ragazzini in chiesa e le nonne a predicare, il prete a benedire e poi a giocare a calcio balilla e se è libero a biliardo da Ziu Piero o alla Rosa dei Venti o da Mundicca e poi nient’altro, tutti al mare in macchina con il riscaldamento acceso a far l’amore, a sentire la musica fumare e tirare di coca che tanto controlli qui non ce ne sono e il massimo che ti può succedere e finire la roba o avere la ragazza con il ciclo.

Fumo hascis solo dove sono sicuro di non essere visto da nessuno. In paese le voci corrono e non mi va vengano a saperlo persone che potrebbero restarci male. Gli altri li hanno beccati tutti chi prima o chi dopo e altro che hascis e se ne sono anche fregati dei rimproveri che hanno ricevuto da genitori che anni prima avevano fatto lo stesso e da altri che ancora adesso lo fanno e da forze dell’ordine che novanta volte su cento chiudono un occhio poi si svegliano all’improvviso e fanno come se drogarsi, farsi, fumare, tirare in questo posto, in quest’isola felice e selvaggia, arretrata e sincera, in quest’isola di uomini che pensano oltre il mare sia finito tutto, fosse veramente vietato da qualcuno.

Qui, nell’isola che l’inverno non cè

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martedì 25 novembre 2008

Nobildonna



Si l’ho detto e vero e l’ho ammesso e l’ho ostentato e l’ho rimangiato e adesso ricreduto che volevo fare il giornalista che sarei diventato famoso e sarei andato in qualche convegno a dire cose che i presenti ascoltandole avrebbero applaudito come fanno con tutti senza far caso alle banalità e nella certezza che chi è conosciuto per un qualche stupido o meno stupido motivo debba saper dire sempre qualcosa di interessante e mai scontato davanti a persone pronte a battere le mani di riflesso, d’istinto, inutili persone dall’aria intellettuale. Avevo pensato tutto d’un fiato sorseggiando vino di cantina di quelli che lasciano l’amaro in bocca e che si incastrano, come coppie in amore, con l’acido della sigaretta inumidita e cancerogena.

Neanche io sapevo se volevo morire di stenti in una redazione stracolma di impiegati chiamati giornalisti a scrivere frasi ad effetto per quotidiani che qualcuno avrebbe letto e cestinato insultando quella classe di scrittori falliti con il tesserino sempre in vista e la notizia da pompare che altrimenti non si vende, non attira, non ci interessa, non fa rumore.

E poi avevo da pensare ad altro, avevo paura di morire e avrei messo la firma per campare almeno fino a novanta anni e dire le mie frasi saccenti a moccioselli con il cazzo in tiro e tirare merda addosso ad un mondo di moralizzatori con la coda da diavolo e le ali da angelo sempre pronti a dire quello che è più giusto fare in quella società che si prende il diritto di scegliere quello che devi essere.

Allora per sintetizzare la mia risposta le avevo detto – Ehmbe? – a lei che mi aveva detto che nella vita bisogna avere la testa sulle spalle sopra il collo con il cervello ben posizionato e cercarsi un lavoro sicuro e impegnarsi per fare carriera e costruire un qualcosa di serio che altrimenti me ne sarei pentito e lei aveva già un lavoro, un uomo con un posto da dirigente un cane che glielo invidiavano i vicini una macchina che quando arrivava nei locali la facevano entrare sempre per prima senza far la fila amica com’era di gente importante di luoghi importanti dalla cariche importanti. – Ehmbe ? – le avevo risposto e avevo gettato la sigaretta nel lavandino che tanto la sguattera l’avrebbe presa e gettata senza dire neanche una parola, senza ribellarsi a quella vita di umiliazioni alla quale era sottoposta dalla Nobildonna che mi volevo scopare e mi ha portato a casa sua solo per darmi delle indicazioni precise su come soccombere alle sue direttive di vita.

- Sai perchè non mi piaci? – mi aveva detto quella nobildonna, Sonia, come mi aveva concesso di chiamarla una delle sere dopo che l’avevo conosciuta per caso ad una festa di chiattoni, - Non mi piaci perché non sei nessuno e ti comporti come se chi hai davanti avesse le pezze al culo come te e la tua modestissima vita da sognatore –

- Embhe – mi sarebbe venuto da rispondere ma me ne era passata la voglia e me ne ero andato con le pezze al culo in quella vita che sapeva dare lezioni migliori di qualsiasi altra nobildonna in prigione.

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lunedì 24 novembre 2008

Emy


Il cielo è splendido, dipinto di colori che al di la del mare trovi solo negli enormi cartelloni pubblicitari che dall’alto controllano la città. Ma non è il cielo che sono venuto a riprendermi. Io morboso pastore di una morbosa storia d’amore che come un gregge tutte le mattine ho portato a respirare in attesa di mangiare della carne di cui non ho mai sentito il sapore.

- Bentornato – mi dice Emy mentre le tiro la coda morbida sulle spalle. Ho ancora gli occhi gonfi dopo la notte insonne in balia di onde fastidiose ed eccitanti.

- La mia non era paura ma prudenza. Da addormentato non so nuotare -.


Poi mi bacia timida sulla guancia e torna alle sue cose. Io non so cosa sono venuto a fare ma nel silenzio mi sembra di riprendere un po’ di energie. Difficilmente si lamenta, ha le energie di due, tre, quattro persone insieme e a volte la invidio, osservandola, perché non sembra poterle esaurire mai.

In camera ho un mappamondo e un quadro pieno di foto. Una volta prima di trasformarsi da farfalla in bruco mi aveva chiesto di girarlo e poi fermarlo in un punto a caso. Lì ci saremmo dovuti un giorno sposare.

L’avevo fermato in mezzo al mare.

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martedì 18 novembre 2008

Al bacino e il cartello sulla bara



Lui muoveva i fianchi manco fosse Al Bacino, lei sorrideva e a tratti distribuiva sguardi che non necessitavano di parole.

- Ti sei divertita? – Avevo detto polemico e fintamente disinteressato
- Molto – mi aveva risposto mentre rientrava con me ma solo fisicamente

Poi un giorno mi aveva lasciato dicendomi che forse per il momento, un attimino, per un breve periodo di tempo non definito, momentaneamente ma istantaneamente e delicatamente mi dovevo togliere dai maroni.

- Devo pensare – mi aveva detto e mi sembrava inutile chiederle a chi o a che cosa

L’avevo rincontrata dopo un anno accanto al suo ballerino

- Hai pensato? – le avevo detto, ma evidentemente non ne aveva avuto il tempo

Non mi aveva risposto e mi aveva presentato Fabio, in arte Al Bacino, ballerino di discoteche Fashion situate in zone Fashion frequentante di quei giri Fashion, circondato da persone Fashion di cui per una serie di motivi non potevo fare parte.

- Piascere Fabbio – mi aveva stretto la mano e guardato con lo schifo di chi deve ravanare dentro un cesso tappato per necessità.

Nella sua bara un giorno, insieme a suppellettili fashion, accanto ad un fiore seccato restava un cartello scritto a penna che recitava più o meno così – Menomale -

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martedì 11 novembre 2008

Il vestito rosso


Lei mi dice che non sa cosa vuole dalla sua vita.

- Quale vita? - Mi chiedo
- Sono anni che vivi di riflesso quella degli altri -. Poi taccio.

Mi guarda e piange nuda, nuda davanti a se stessa, nuda davanti a una verità che
fa male quanto mille schiaffi in pieno volto. Ha un vestito rosso acceso, ha un vestito rosso come i pesci nell’acquario che avevo in un'altra casa. E’ bella, mi sembra bella a guardarla, rossa con le calze colorate e il viso buffo di chi non sa cosa dire. Mi sembra bella, soggettivamente bella guardata con gli occhi di chi vuole vedere oltre quelle lacrime, quel vestito rosso pesce, quel viso buffo e confuso di chi affacciata al balcone guarda la vita degli altri senza viversi la propria.

La radio passa Boa Sorte di Vanessa Da Mata, canta Vanessa Da Mata e fuori è freddo e lo sento nelle ossa.

Perché piangi? – Le chiedo sapendo che non risponderà, scende dal letto dov’era accucciata come i bimbi quando aspettano un rimprovero. Scende dal letto e infila le scarpe nere lucidissime che indossa mentre affacciata al suo balcone guarda la vita degli altri come i pesci rossi nell’acquario che avevo una volta in un'altra casa.

Era andata via ma ero andato via prima io, senza dire niente, mentre la guardavo e mi sembrava bella, bella e buffa, bella e confusa, soggettivamente bella dispersa in un mondo in cui non aveva il coraggio di respirare, che non sapeva ammirare e di cui non sapeva godere impegnata com’era, affacciata al suo balcone, ad osservare il mondo degli altri.

- Dove vai? – Le avevo chiesto, ma da tempo ormai ero rimasto solo.

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martedì 4 novembre 2008

Good by amore



Un giorno tornando a casa le avevo fatto trovare il vuoto. L’avevo rapinata dei tutte le mie cose ed ero andato via stufo di discutere e di ascoltare le solite scuse sull’amore elemosinato. Avevo lasciato sul letto sfatto una mia foto sorridente su cui avevo disegnato una vignetta in nero

- Non è che non ti amo più – mi diceva a volte lei – però, però, però – sempre con sti cazzo di però

C’erano delle priorità nella sua vita e nella nostra vita di coppia, lei era la priorità, lei era il centro del mondo, lei era la base, lei era l’altezza, l’ipotenusa, il raggio e il diametro di tutto.

Avevo lasciato il vuoto ed ero partito. Alcuni giorni prima avevo contattato un’amica francese e un amico londinese e chiesto alloggio a pagamento per un breve periodo in cui avrei anche cercato un lavoro part-time che mi consentisse di studiare. Non avevo deciso ancora da chi sarei andato. Non avevo cambiato numero ma non avevo nessuna intenzione di risponderle. Aveva avuto la sua occasione e non l’aveva saputa sfruttare. Con le promesse i bambini africani ci muoiono di fame se poi nessuno tende la mano con un pezzo di pane caldo.

Dentro la vignetta le avevo scritto Se hai qualcosa da dire la foto ti ascolterà in religioso silenzio e basta, nessuna polemica, solo una frase stupida che mi era venuto da scrivere sul momento. Mi dispiaceva un po’ per quello che avrebbe dovuto patir la foto ma l’avevo comunque dovuta sacrificare.

Ero partito e mi veniva da ridere a pensarci.

Mi aveva chiamato tre volte e non le avevo mai risposto. Volevo tenesse strette nella sua testa le immagini di qualche sorriso, di qualche serata speciale, di qualche abbraccio piuttosto che le risuonasse in testa un ultima pesantissima sfuriata telefonica. Allora non le avrei mai più risposto.

Io alla fine non ci avevo più pensato. Avevo conosciuto una ragazza a cui non dovevo chiedere niente. Le veniva spontaneo abbracciarmi, ridere, preoccuparsi per me, fare l’amore senza chiedermi l’ora di inizio e quella della fine, senza vivere affogata da problemi immaginari, le veniva spontaneo chiedermi aiuto, vivere il presente e immaginare il futuro. Non aveva paura di far la doccia perchè altrimenti si bagnava i capelli, appoggiava il culo sul marciapiede senza aver paura di sporcarsi, a volte fumava qualche canna altre no a seconda della serata. Avevo trovato una ragazza cosciente che la vita è una linea delimitata da due punti da riempire a più non posso. Certe persone pensavano fosse infinita la vita, per cui rimandavano continuamente, poi morivano e in punto di morte guardando quello che lasciavano sulla terra si domandavano – Ma che cazzo ho fatto? – questo si domandavano, poi morivano con il cuore pieno di sentimenti ed emozioni mai provate, mai donate, mai vissute.

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venerdì 31 ottobre 2008

La madre dei miei figli



Quando l’avevo conosciuta già parlava un sacco. Avevo avuto poche ragazze che parlavano un sacco. Alcune parlavano ed era come fossero pesciolini in un acquario, le guardavo ma non sentivo un cazzo. Alcune parlavano e le sentivo e avrei voluto fossero pesci rossi in un acquario. Che carine, in un acquario, sarebbero state carine. Stefania un giorno mi aveva lasciato dicendomi che non mi amava più.

– Perché? - le avevo chiesto
– Perché ti ho tradito – mi aveva risposto sorridendo
– Con chi? – ero riuscito a dire con due litri e mezzo di saliva incollata alle tonsille
– Con una persona che conosci bene – e aveva allargato le labbra mostrandomi denti bianchi e ben disposti
Puttana – mi era scappato ed ero caduto in depressione convinto di aver perso la donna più importante della mia vita – Vai a farti scopare da quell’altro – avevo aggiunto convinto questo potesse farle cambiare idea. Invece ci era andata davvero e non se ne era affatto pentita.

Le donne sono delle grandissime rompiballe fino a quando non ti lasciano e diventano all’improvviso esseri perfetti con cui vorresti circondarti di figli

- Non la sopporto più, non mi importa di lei, mi voglio divertire, sono giovane – e poi ti lasciano e ti senti morire. Respiri, ti riscopri Buddhista a momenti, poi la richiami con una voce struggente
- Amore torna, io ti amo, non vivo senza te – dici umiliandoti
- No – ti risponde
- Puttana, vai a farti scopare da tutti gli altri – ricalchi pensando di farla sentire in colpa mentre lei lo fa e ne va pure un po orgogliosa.

Mi accingevo a riprendermi mentre tori e stambecchi invidiavano il carico che mi portavo sulla testa.

Quando l’avevo conosciuta già parlava un sacco. Mi aveva raccontato dell’America, della Spagna, di Londra e del suo gruppo. Lei mi raccontava e io mi avvicinavo seduto sul divano spostandomi pian piano come avessi una cicala dentro il culo. Mi avvicinavo piano piano e quando la mia gamba sentivo sfiorare la sua già stavo meglio. L’avevo baciata quando la cicala dentro il culo mi aveva messo in una posizione tale che o la baciavo o sembrava avessi problemi seri alla spina dorsale. Tra le due cose avevo preferito baciarla e lei non aveva battuto ciglio. Avessi baciato il muro mi avrebbe dato più soddisfazione. Aveva approfittato del bacio per riprendere fiato e avevo ricominciato il discorso esattamente dal punto in cui l’avevo interrotto.

- Scusa l’interruzione – avevo pensato sfiorandomi il naso un tantino imbarazzato

Una volta, mentre facevamo l’amore lei mi aveva chiesto di passarle il cellulare che non aveva inserito la suoneria. Quando mi aveva lasciato avevo pensato ugualmente di aver perso la madre dei miei figli. Eppure non mi facevo.

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martedì 28 ottobre 2008

Il silenzio dell'immaginazione



Baggioni mi farà sapere qualcosa e io all’aria aperta posso liberarmi di una giacca ingombrante e scomoda che avevo comprato per farla felice, lei che teneva tanto che io andassi al matrimonio della cugina che si era sposata in un mese caldo di qualche tempo fa.


Passo a prendere Giulia. Stare a casa stasera stava diventando massacrante. Avevo cliccato sul pulsante aggiorna della mail per tutto il pomeriggio nella speranza Baggioni avesse deciso di scrivermi un’email qualsiasi. Fosse stato anche per sbaglio.

Allora chiamo Giulia e l’avviso che sto passando. Facciamo un aperitivo al Mòmart insieme e poi una passeggiata a San Lorenzo, che con tutta quella gente nessuno, li a San Lorenzo, si curerà di noi. Giulia dice che sono una sua amica, che con me riesce a dire cose che neanche alle ragazze riuscirebbe a raccontare. Io non so se questo è un complimento, ma quando me lo dice le sorrido. Non ci siamo mai baciati, solo una volta abbiamo dormito insieme, ma eravamo talmente stanchi che era come avessimo dormito da soli. Giulia mi dice che sono una sua amica e mi racconta dei suoi problemi con il sesso con Pasquale con cui l ha fatto per la prima volta qualche tempo fa.

- Quanto dovrebbe durare? Cioè intendo, è normale che lui spinga per più di un’ora senza venire e io nel frattempo riesca a pensare a tutt’altro? Ieri sera ho ripassato mentalmente le formule di tutta matematica 1 mentre lui mi diceva cose tipo che sono una porca, una maiala, che lo eccitavo. Secondo te dovrei dirglielo? Cioè dovrei dirgli che non sento un cazzo o si offenderebbe? Tu ti offenderesti? –

I prezzi del Mòmart sono eccessivi per quello che porto stasera dentro il portafoglio. Devo aver speso più di quello che pensavo e ho il dubbio che quando arriverà il conto Giulia mi vedrà impallidire, anche perché lei non porta mai soldi con se quando usciamo insieme. Sono la sua amica, per cui pago sempre io.

- Ma mi stai ascoltando? –

Mi avvicino e la bacio sulle labbra – Hai sentito qualcosa? Te lo aspettavi? Penso che dovresti iniziare anche tu a sorprenderlo invece di stare sempre a lamentarti di quello che fa. Se tu non l’aiuti non troverete mai la strada giusta per imparare ad amarvi –

Giulia mi guarda come se avessi detto qualcosa di intelligente. A volte dico delle cazzate che Moccia mi fa un baffo. Giulia ha 22 anni, da poco tempo è fidanzata con Pasquale e non ha idea di cosa sia il sesso. La ribacio – Poi risorprendilo - dico, ma non so neanche io quello che sto dicendo.

- Ho male a una gamba. Puoi andare in macchina e portarmi la giacca? Sento freddo – dico

La macchina l’ho parcheggiata duecento metri più avanti. Chiamo la cameriera e chiedo il conto.

- Te lo porto subito – mi dice, ed entra dentro.

Cè un sacco di gente al Mòmart stasera. Appoggio una borsa rimasta sola sopra il nostro tavolino e mi allontano accelerando il passo per quanto posso fino alla macchina. Se pensa sono in bagno guadagnerò qualche minuto. Non ci sono più i camerieri di una volta. Salgo in macchina e dico a Giulia di aver pagato il conto. La radio passa canzoni indecenti. La spengo e sto in silenzio fino al portone di casa sua.

Ho ancora il pedale affondato sul freno e Giulia mi bacia sulle labbra, mi prende la mano e la appoggia sul suo seno – Sorprenditi, ogni tanto – mi dice e ride come una matta. Rido divertito.

Le strade sono deserte fino a casa. Prima di andare a letto clicco quattro o cinque volta per aggiornare la mail e constatare che Baggioni, probabilmente, avrà avuto un sacco da fare in questo lungo giorno. Mi sento stanco. Farfuglio qualcosa sul blog


Poi mi metto a dormire.

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giovedì 23 ottobre 2008

Malagrotta


Quando esco il mal di testa non si placa. E’ come se fossi ancora lì per qualche ora, dentro quella stanza che respinge la luce e mi assorbe tutta l’aria. Vorrei uscire e trovare una montagna enorme e una valle profondissima dei colori della terra. Chiudo gli occhi e respiro a fondo. Sento il ruscello in fondo a valle, qualche animale muoversi pigro tra l’erbaccia secca, sento gli uccelli intonare il loro canto mentre ali piccole e fragili aperte in volo dipingono forme di diverse dimensioni.

Sento l’arrotino e apro gli occhi, passa tutti i giorni e tutti i giorni pretende qualcuno abbia un set di coltelli da affilare. – Ah c’erano tempi in cui non esisteva Miracle Blade – dice – Miracle Blade ha rovinato l’arrotino – dice – Che poi li fanno in Cina – dice scherzoso non sapendo che prima di sentire il suo tenebroso canto dal suo fastidioso megafono c’ero pure io in Cina tra montagne sperdute e volatili in volo – Che il signor Blade sia maledetto - dice

Chiudo gli occhi ed è come se vedessi la montagna enorme di fumo dalla discarica di Malagrotta e una valle profondissima di rifiuti indifferenziati dei colori della merda. Chiudo gli occhi e trattengo il respiro. Sento le bestemmie in fondo a valle, qualche automobilista muoversi piano tra le imprecazioni degli altri, sento gli uccelli intonare il loro ultimo grido e cadere a terra come chicchi di grandine dopo aver dipinto nel loro ultimo volo il loro ultimo comprensibile pensiero – Vaffanculo – dipingono gli uccelli per poi crollare nel cassonetto della plastica, quella che han respirato prima di cadere, in questa calda giornata che diffonde aria, aria di Malagrotta

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martedì 21 ottobre 2008

Portami via



-Mi sveglia sette, otto volte a notte – mi dice Serena tenendosi la testa con il palmo della mano aperto. – Mi sveglia e mi chiede se sono sua, se ho incontrato qualcuno che potrebbe allontanarmi da lui, se ho voglia di invecchiare con lui. Mi sveglia e già dalla terza volta mi verrebbe voglia di alzarmi e di andarmene a dormine in soggiorno. Sono sicura scopa ancora con quella mezza fallita della sua collega di lavoro. Poi torna a casa, mi poggia il suo coso moscio sul mio culo freddo, mi stringe con le mani e pretende certezze come se lui fosse stato in grado di darmele. E poi diciamoci la verità, farebbe bene a tenerseli i suoi dubbi –

- Perché non mi abbracci? – mi chiede
- Perché io con te non ho bisogno di fingere - rispondo e le sorrido
- Non t’ho chiesto di fingere di abbracciarmi, t’ho chiesto di farlo –
La giro e gioco con i suoi capelli. Poi con la mano scendo giù fino alla spalla nuda, la sposto e lei guarda il soffitto in silenzio.

Serena ha 31 anni, da 27 ha perso il padre, da 9 ne ha trovato un altro che ha chiamato fidanzato. Maurizio, il suo compagno, ha rischiato di trovarci nudi nel suo letto un paio di volte. La prima, un pò di anni fa, ha avuto la brillante idea di chiamare Serena pochi minuti prima di tornare in casa. Sono uscito fuori con ancora il preservativo infilato. Infilato male tra le altre cose. L’ho tolto in macchina e sono corso via senza alzare lo sguardo dalla strada tenendolo tra due dita per tutto il tragitto. Sono arrivato a casa che ancora non avevo deciso se i preservativi si buttano nel sacchetto dell'umido o della plastica. La seconda poche settimane fa.

- Mi piace un sacco parlare con te. Mi sai ascoltare - mi dice mentre penso di aver sentito questa cosa da qualche altra parte.

Mi infilo i pantaloni, scosto la tenda della camera con una mano e con un occhio solo guardo fuori per vedere se tutto è tranquillo . La radio suona una melodia impazzita di Allevi che mette allegria e poi tristezza e poi allegria. Il finale mette allegria, allora dormo sereno. E’ tardi. E’ mattina presto. Vorrei svegliarmi con la melodia di Allevi al contrario, vorrei iniziasse dalla fine, potrei spegnarla subito e godermi l’allegria.

Una volta un mio conquilino pedofilo mi disse - L'amore non esiste - ma detto da lui non contava niente. E chissà cosa intendeva per amore lui, fermamente convinto che un ragazzino con le Tartarughe Ninja in mano potesse essere in grado di scegliere consapevolmente cose che alcuni adulti, ancora a volte, non sono in grado di fare.

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Paranoico



Sono paranoico. Da quando è morta Stefania sono paranoico, malato, esaurito, pazzo, stupido, fissato e non ne sono mai più uscito. Non le avevo mai detto che l’avevo vista baciarsi e ridere con quel suo vecchio compagno di scuola. Non gliel’avevo detto perché in quel momento mi sentivo già abbastanza male così. Poi forse gliel’avrei detto, non fosse andata via. Ero diventato completamente paranoico, lo sapevo, ma non avevo la capacità di uscirne. Controllavo tutto di nascosto, il telefono, l’agenda , i suoi spostamenti e tornavo a casa tranquillo solo quando mi rendevo conto era stata una giornata come tante per lei. Allora riuscivo a dormire, ma per dormire dovevo avere tutto sotto controllo. Dopo aver perso la fiducia su Stefania avevo perso anche quella sul resto del mondo. Controllavo tutto anche degli altri. Li mettevo alla prova. Creavo situazioni e dicevo delle cose solo per vedere come si comportavano, come reagivano o quello che dicevano. Spesso su un bigliettino scrivevo cosa avrebbero fatto le altre persone in determinate situazioni, se scrivevo il giusto dormivo poco più tranquillo. Avevo bisogno di controllare il mondo e questa cosa mi faceva comunque stare male. Come la dipendenza dalla droga, dal sesso, dal fumo, dal gioco. Hai bisogno di quella cosa pur rendendoti conto ti fa solo male, ne hai bisogno e basta, ti fa male e ne hai bisogno.

Ero diventato paranoico quando avevo scoperto Stefania con quel vecchio compagno di scuola. Ma ero peggiorato e tanto quando Stefania era andata via. Ora che potevo controllarla stavo ancora più male. Mi scoppiava il cuore a volte, mi sembrava di impazzire. Come quando si è lasciati, quella sensazione di vuoto e nausea che solo il tempo sa portare via. Fossi potuto tornare indietro glielo avrei detto subito e ne avremmo parlato e discusso e ci saremmo insultati e avremmo pianto insieme o le avrei tirato uno schiaffo da farle tremare un dente e mi avrebbe detto – Vaffanculo Luca, Vaffanculo – come mi diceva lei a volte – Vaffanculo Luca, Vaffanculo Luca, Vaffanculo – che invece non l ha detto è quella notte è andata via, senza avvisarmi che probabilmente neanche a lei l’avevano avvisata che sarebbe dovuta andare via e sono diventato paranoico da quel giorno. Neanche a me avevano avvisato. Volevo dirglielo e forse dopo ne avremmo riso un giorno guardando quella storia da lontano. Come negli aerei quando le cose sembrano piccole piccole e ti rendi conto di come agli occhi di Dio tutto dall’alto possa sembrare un gioco. Dio è sereno perché dall’alto sembra tutto un gioco.

Avevo guardato il soffitto e parlato al buio, senza vedere niente e nessuno mi aveva risposto.

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domenica 19 ottobre 2008

Certe Domeniche


Io non voglio che vadano via troppo velocemente. Allora aspetto li con loro fino alla fine. Poi mi allontano silenzioso, saltellando per le scale, come se avessi un appuntamento importante. Mi volto che sento forte lo stridolio dei freni, poi metto in moto e vado via. E' quasi buio e ci sono mille luci degli stop che vedo un pò sfocate, sovrapensiero, qualche nuvola rossastra illuminata dal sole che va via, i fari alti che mi sfilano davanti uno dopo l'altro con altre storie che a volte vanno di fretta non so dove, nè perchè, nè se è vero, eppure a volte mi sembra vadano di fretta. Certe domeniche sfilano via che vorrei aggrapparle per la coda e tirarle indietro con forza e ricominciarle. Certe domeniche sfiliano via che sembrano magiche e ti cullano mentre dormi e si allontanano. Quelle domeniche non puoi spiegarle perchè certe cose ha senso solo viverle non spiegarle, puoi scriverle se le scrivi per te stesso e un giorno rileggendo provare a sentirne un pò gli odori, a vederne un pò i colori, ma se le scrivi per te stesso. Ma devi viverle e tenerle dentro strette che poi torneranno a nascere davanti a qualche nuvola rossastra, in una sera con quella brezza quasi estiva, mentre una persona con la sua storia ti sfreccera davanti veloce o almeno a te sembrerà così, in una sera con gli stop rossi sfocati delle automobili davanti e qualche scemo che non abbassa i fari, sovrapensiero, con dentro il cuore la sua storia da tenere solo per se. Certe volte non ha senso poi spiegarle.

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mercoledì 15 ottobre 2008

Confusione


Non avevo voglia di sentirla sproloquiare parole che non avevano più un senso. Le parole avevano senso se accompagnate ai fatti. Lei le accompagnava, ma ad altri fatti, diversi da quelli che intendevo io, diversi anche da quelli che diceva di intendere pure lei.

- E poi ci conosciamo da così poco - avevo pensato

- Ma io quelle cose te le avevo dette - aveva tentennato lei, ipocrita

E avevo chiuso il telefono. Un buffetto sulla spalla e avevo fumato un bastoncino di liquirizia in balcone. L'avevo tirato su come una sigaretta, poi l'avevo preso a morsi, ormai stufo, e gettato nel terrazzo di quella di sotto che tanto anche se non l'avessi fatto si sarebbe lamentata allo stesso modo. Il bastoncino di liquirizia lasciava un sapore un pò più gradevole delle Marlboro Rosse, le schegge di legno che si infilzavano nella gola lasciavano una sensazione un pò meno gradevole. Avevo guardato la notte seduto a terra, solo, in silenzio, e avevo parlato con me stesso a voce bassa perchè nessuno potesse sentirci e mi ero reso conto di quanto potevo essere confuso, la notte, distratto dal nulla, a dirmi cose che poi il mattino dopo avrei già dimenticato. Il giorno i pensieri erano sovrapposti gli uni agli altri, mischiati ad alcune passeggiate, abbracciati ad alcuni sorrisi, annullati da quell'insieme informe di voci che si accatastava l'un sull'altra. La notte si disponevano in fila, uno dietro l'altro e ti si presentavano davanti beffardi

- Ora come la mettiamo? - mi dicevano dentro la testa
- Ora cosa pensi di fare? - mi dicevano dentro la testa
- Adesso che cidevi affrontare .. - ripetevano dentro la mia testa

Fino a che mandavo tutti a fare in culo, i problemi sono problemi solo se ti convinci che lo siano. Mi ero addormentato tra pensieri incomprensibili.

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lunedì 13 ottobre 2008

Il poliziotto in canottiera


Fa caldo. Mi giro su me stesso e sento caldo. Lunedì 13 Ottobre e sento caldissimo in questo letto. Mi sembra di non potermici staccare. Mi alzo e apro la finestra. Ho provato a dormire ma non ci sono riuscito, questa Domenica è stata lunga, lunga quanto lo sballo per un fuso orario. Mi alzo e accendo il computer. Odio Internet, lo odio proprio nel vero senso della parola. Odio Internet e le community che ci han costruito dentro. So tutto di tutti, so tutto e non so un cazzo. So di Maica che va al Jacky, di Manuela che è in attesa, di Claudio che è appena rientrato, di Paola che manda a fare in culo il mondo. So cose di cui non so niente e di cui non voglio sapere niente. Odio Internet per l'uso malato che ne faccio, drogato come sono, e me ne voglio liberare. Me ne voglio liberare e non ci sono ancora riuscito. Voglio i numeri di cellulare di tutti quelli che mi hanno aggiunto su Facebook. Voglio i loro numeri e voglio vedere se mi chiamano sette, otto volte al giorno per dirmi che vanno a cagare, che stanno per cucinare, che si vogliono suicidare. E voglio vedere quante volte chiamo loro per dire che sto male, che sto bene, che ho caldo, caldissimo Lunedì 13 Ottobre ora che il buio si è impossessato di Roma e Casalotti già da qualche ora. Gli utenti di Facebook non esistono se non mi chiamano e non li chiamo e non li vedo e non le trombo a volte e non mi schiaffeggiano e non mi insultano e non si guardano in questa calda notte che tarda a convocare il sonno. Indosso i pantaloni che ho fottuto a Giovanni tre anni fa ed esco a prendere aria. In fondo alla strada un poliziotto mi chiede di accostare.

- Ho caldo - dico
- Patente e libretto - mi dice
- Di chi è la vettura? -
- Di mio padre - dico - Fa caldo stasera - dico

Accarezzo Jimmy e riparto, ho sorriso a un poliziotto che era entrato esageratamente nella parte e non ha ricambiato. Più tardi tornerà a casa, toglierà la divisa, scorreggerà, guarderà le telefoniste porno in canottiera e mutande e dimenticherà per un attimo di fingere d'essere un poliziotto.

- Scendi - dico
- Sali - risponde che sono praticamente già arrivato nella sua stanza

Lei vuole parlare, io fare l'amore. Allora mentre parla la spoglio. Scopiamo e mi sento solo, scopiamo e lei mi dice

- Fermo, fermo un attimo e guardami negli occhi - Ma non ho nessuno davanti, sto solo scopando e mi sento solo, mi sento solo e sono assessionato da internet e dal caldo che mi sta appiccicato ad ogni cellula.

La guardo negli occhi e non vedo nessuno

- Che cè? - dico
- A che pensi? - e vorrei sparire per un attimo, penso al caldo, alle cellule, a internet, che son solo

- A te - rispondo, e lei sorride

Poi torno a casa, il poliziotto avrà appeso il cappello sul porta abiti all'ingresso, avrà bevuto una birra e si sarà addormentato davanti alle pornotelefonate in attesa di ritrasformarsi in quello che si era convinto per un attimo di essere stasera.

- Chissà se ha caldo - penso salendo le scale - Non me l ha detto se aveva caldo pure lui - e torno nel mio guscio

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sabato 11 ottobre 2008

Il cartello condominiale


Si avvicina un Pakistano con delle rose sulla mano destra e un Cane di peluche sulla sinistra. Gli infila un dito nel culo e il cane rizza le orecchie. Lo fa due o tre volte. Poi si volta e va via. Incomprensibilmente nessuno, di venerdì sera, aveva bisogno di un cucciolo finocchio e lussurioso. Faccio l'ultimo tiro poi la spengo. Un sorso di birra amara e butto l'occhio al centro della piazza. Sono solo in mezzo ad un sacco di gente. Qualcuno lo nota e me lo fa capire con gli occhi. Lei prende le chiavi e le infila tra due seni grandi quanto due pugni pieni di sabbia - Ora prendile - mi dice, mentre mi sento solo tra centinaia di persone. Sorrido come se non avessi sentito. Forse non ho sentito davvero. La camera è poco illuminata. Un cartello nel portone di ingresso recita con caratteri a prova di Bocelli - SIETE PREGATI DI CHIUDERE IL CANCELLO - Che corrisponde più o meno a - Vaffanculo quando torni chiudi quel cazzo di cancello - Quello che l'ha scritto, quando l'ha scritto secondo me aveva i coglioni girati. Avrà detto alla moglie - Ora ci penso io - e sarà andato a comprare un foglio di carta A4 e un pennarello nero e grosso con la foga di chi deve fare una cosa importante. Avrà pensato qualche minuto a cosa scrivere per poi scrivere alla fine quel verbo PREGARE di gran moda nei condomini incazzosi. Che poi salendo ho pure dimenticato i portone aperto. La camera non è molto illuminata, mi guarda in viso mentre scalda una mano tra due cosce seminude. Potrei scaldarci la mia di mano tra le sue cosce seminude ma apro gli occhi e sono completamente solo. Stamattina un'anziana aveva commentato così l'andamento della borsa - Ah cicoria a tre uero, ma che siamo matti? - e aveva ripiegato sugli spinaci.

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mercoledì 8 ottobre 2008

Solo perchè è nuda


Ora che è nuda adagio l'orecchio sul suo ombelico e ascolto in silenzio il suo respiro leggero. La guardo e sorrido, poi mi adagio di nuovo un pò più sopra stavolta, per non scrivere post esageratamente porno. Dovrei guardarla negli occhi e capire cosa sta pensando. Appoggio lo sguardo sul suo un attimo. Sbaracco le mani come in croce e confuso guardo il soffitto. Poi mi alzo e vado in bagno, mi guardo allo specchio, mi schifo da solo, passo la mano tra i capelli e torno indietro. E' ancora nuda - Mi avrà spogliata per un motivo o per sentire il mare dal mio ombelico? - si starà domandando mentre mi passo la mano tra i capelli come in bagno colpito improvvisamente dalla sindrome di Vittorio Sgarbi. - Se mi trova qui ora secondo te mi lascia? - mi chiede - Non lo so - rispondo mentre spero di avere il tempo, nel caso, di fare testamento. Marica è fidanzata da sette anni, ufficialmente da quattro, lavora in un pulitissimo locale del centro e scopa due volte alla settimana con il suo compagno. Tre volte a settimana cucina per lui, una volta a settimana lui la porta fuori a cena. Marica ha 29 anni, mi poggia un seno nudo sul fianco, con la mano mi sfiora i capelli e si chiede - Come fanno le persone a stare insieme in quel modo per decine di anni? - - Che cazzo nè so - rispondo un pò confuso, e mi rivesto. Non potevo sapere certo tutto io che sdraiato a fare il morto sul mare della vita, avevo deciso per un attimo di lasciarmici cullare. - Dove vai? - mi chiede mentre un cagnolino grande quanto un preservativo arrotolato mi annusa la caviglia. - A scrivere un post di merda - rispondo. E lo scrivo davvero. Che tanto i miei post me li scrivo, me li leggo e me li capisco da solo. Sembro serio ma sto ridendo. Che cè il rischio a volte che non li capisco manco io. Saluti a tutte le Mariche del mondo. Ciao Giovà, le foto se arrivi a leggere il post fino in fondo sappi che te le mando presto. Sogni d'oro.

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mercoledì 1 ottobre 2008

25/05/1981 - --/10/2008


Dopo una vita di contraddizioni non ha retto alla furia bancaria di un signore sposato. Lascia Jimmy, Jimmyno il motorino, una camera sporca e un cordombleu Arena, in frigo, non ancora scaduto. Prima di sospirare è riuscito con le ultime forze a dire - Ma non dovevi essere a lavoro a quest'ora? - poi è crollato in un sonno permanente. Salito in cielo, seduto alla destra del Padre e con Maria nelle vicinanze credette per un attimo di essere divenuto un tronista. Poi Gesù torno dal bagno e rivendicò il diritto a quel trono che sempre era stato suo. Nuovamente si trovò alla ricerca di un posto nel mondo, nell'altro mondo.

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giovedì 25 settembre 2008

E' lei il mio destino?


Non fumo. Accendo una sigaretta prima di entrare come faccio di solito. Lo faccio perché non so se mi piacerà l’ambiente e le persone che posso trovare. Alcune le conosco certo, ma è sempre un po’ più interessante occuparmi di quelle che non conosco, per pochi momenti, quando ho l’occasione. La accendo ed entro. Con la sigaretta in mano se mi dovessi trovare a disagio potrei far niente e la gente penserebbe che comunque sto facendo qualcosa. Poi se dopo un po’ di tempo non mi fossi ambientato potrei sempre chiederne un'altra a chi non conosco e con la scusa scambiarci due parole. Però non fumo, e il sapore della sigaretta mi fa tremendamente schifo. Allora subito dopo mastico una vigorsol o bevo qualcosa per levarmi quel retrogusto di caminetto che mi riempie l’esofago. Faccio un tiro ed entro. Qualcuno mi ha detto che una ragazza che m’aveva incrociato da qualche parte ha chiesto di me. Faccio un tiro e mi guardo intorno. Se ti lasciano e qualcuno ti dice che un’altra persona si è interessata a te pensi immediatamente al destino. Allora forse quel che è successo è successo per un motivo valido, per consentirti di conoscere una persona nuova che altrimenti non avresti neppure preso in considerazione. Ingoio catrame e mi guardo intorno. Forse incontrerò la donna della mia vita. Spengo la sigaretta e mangio una vigorsol. Non so mai dove spegnerla la sigaretta. Rimane sempre un po’ accesa e il fumo sale lento verso il naso di un Non-fumatore incallito. La musica aiuta a credere nel destino. La sigaretta e la birra mi fanno un pò più figo mentre credo a quel destino. La ragazza sulla poltrona è stupenda. La ragazza sulla poltrona è stupenda fino a quando non appoggia la lingua sulla lingua del ragazzo che le sta di fronte. Laura mi si avvicina e mi chiede una sigaretta – Mi avrà visto fumare entrando – penso mentre gli rispondo che le ho finite ma posso procurargliene una. Laura mi sorride e io chiedo a Fabio di offrirmi una sigaretta da dividere con lei. Mi guardo intorno in cerca del destino. Capisco di averlo davanti quando Laura mi chiede di andare a fumarla fuori la sigaretta. Fuori cè freddo. Fuori cè solo Freddo perché gli altri son rimasti tutti dentro. Dentro le luci son soffuse e io esco con il destino in terrazzo dove la luce renderà tutto un po’ più chiaro. Laura è il mio destino. Non è simpatica certo, non è carina certo, non è giovanissima certo: che destino di merda.

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mercoledì 24 settembre 2008

Sono un ragazzo fortunato


Sono un ragazzo molto, molto, molto fortunato

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A caccia di buone sensazioni


Parto, finalmente, stanco di sentir suonare le stesse trombe monoNota, stufo di discorsi ipocriti e di scuse mancate ma dovute. Parto libero di decidere dove andare, unico responsabile delle mie decisioni, convinto e sicuro di fare, ed era ora, la cosa più giusta. Le tappe verranno decise passo passo. Ci sono alcune persone pronte a svuotare i loro frigoreri dentro la mia bocca e concedermi qualche notte un pò diversa. Così mi hanno assicurato. La prima tappa è la Toscana per poi via via salire. La rotta è stata bruscamente invertita. L'eurostar diretto Termini Verona e stato sostituito da un Intercity che per destinazione e tragitto sa comunque un pò più di nuovo. Avrei trovato troppa polvere certi giorni Veneti. Lascio a casa fantasmi e apparizioni inutili. Ringrazio certe Gnome e certe persone mai banali, attente, presenti. Devo delle scuse per non essere riuscito a fare del mio meglio con l'università in questa sessione a chi da tempo mi stà dietro. Prometto dopo questa pausa di dedicarmi solo a quello. Spero di aver modo di aggiornare e darvi qualche importante Gandhinews. Buon viaggio a tutti...

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martedì 23 settembre 2008

La fine è il mio inizio


Certi viali sono lunghi e tortuosi e chi li imbocca non può più tornare indietro. Mi ero fermato un attimo e mi ero guardato alle spalle sicuro di voler ripercorrere il tragitto al contrario. Ma la bimba mi spingeva con forza lontano, invitandomi a incamminarmi per quella strada che mai mi avrebbe riportato sui miei passi. Questa è la storia di un bancario sposato con una moglie che non lo conosce (ancora), di una bimba in un acquario e di un ragazzo che si era appena rotto i coglioni. Appena rotto i coglioni certo. Nella vita non ci si deve mai tirare indietro. Non mi ero fermato a metà strada a piangere, avevo continuato ad andare convinto, prima o poi qualcosa sarebbe dovuta accadere. La strada era in salita, toruosa, piena di buche e pericoli. Il cielo non era grigio e minaccioso, era nero ed era passato ai fatti. Si faceva fatica a respirare, a procurarsi del cibo, a sopravvivere a momenti. Avevo percorso strade come quella e peggio di quella. Una Gnoma una volta mi aveva consegnato Il Segreto e da lì avevo cominciato a risalire. Chilometro dopo chilometro la strada si allargava, la luce penetrava tra le foglie di grandi alberi in fiore immersi in giardini immensi e carichi di vita, si popolava di gente ed energia. L'aria diventava pura e il cielo limpido. In cima il sole splendeva. Pioveva acido invece su un matrimonio ipocrita rimasto a valle, nella valle delle bugie. Pioveva acido e una bimba sola si bagnava e non aveva riparo. Ma io non potevo più tornare indietro. Buongiorno mondo.

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sabato 20 settembre 2008

Integrazioni difficoltose


Avevo per un attimo accantonato l’idea di un’integrazione totale tra due mondi così differenti. Mentre l’uomo imparava ad affrontare le vicissitudini della vita guidando gli eroi di Double Dragon alla salvezza della principessa rapita, la donna imparava ad affrontare le vicissitudini della vita pettinando quella Barby che avrebbe rappresentato un chiaro esempio da seguire negli anni a venire. La donna imparava ad apparecchiare e sparecchiare con la stessa gioia con cui l’uomo imparava a palleggiare e scatarrare. L’uomo si avvicinava alla cultura e alla sociologia confrontandosi con i complessi testi di Novella 2000, Teletutto, Tuttotopa, la donna ci provava con l’aiuto del Cioè. L’uomo si affezionava alla terra che portava a casa nascosta nelle suole delle scarpe mentre la donna iniziava ad odiarla e spazzarla via da casa. C’era un attimo nella vita di un uomo e della donna in cui qualcosa sembrava integrarli totalmente. Erano gli anni dei baci infiniti, gli anni che tornavi a casa con le labbra gonfie e non solo quelle, gli anni delle Vigorsol sempre in tasca, dei racconti esagerati agli amici, delle mani che cercavano solo le mani, della forfora che veniva giù a quintali quando lei ti passava estasiata le mani tra i capelli, dei brufoli che spuntavano come bollicine nella Ferrarelle ed esplodevano come la passione tra un bacio prolungato e una testata con un compagno, delle scoperte sempre rimandate, dei sogni prima di dormire, dell’immaginarsi da grandi e pensare di diventare esageratamente belli e muscolosi, del trovarsi di fronte ad uno specchio dopo qualche anno e rendersi conto che con l'immaginazione si era andati oltre. Ci si risvegliava all’improvviso, in ritardo con gli esami, alla ricerca di un lavoro, ancora assonnati, e si sognava di tornare a sognare. Il sesso è una pratica antica, misteriosa e riservata a pochi eletti di cui per qualche oscuro motivo non facevo parte. Non poteva essere solo una questione di frutta e verdura. Patate, zucchine, banane e ciliegine non potevano bastare a spiegare il grande segreto dell’amore carnale. L’accoppiamento dei Pipistrellus pipistrellus spiegatomi da Piero Angela non aveva certo chiarito completamente le mie idee. Avevo provato ad appendermi a testa in giù ed emanare onde elettroamorose con scarsi risultati. Solo una femmina di uomo avrebbe potuto salvarmi, oppure il Teletutto, oppure Super Quark. Che bello aver la possibilità di poter scegliere.

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mercoledì 10 settembre 2008

In viaggio



Semplicemente in viaggio..

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lunedì 1 settembre 2008

Tossico ripetente


Tra le cose che più mi emozionavano c’era il sole all’alba, quando i prati o il mare al risveglio s’illuminano di serenità e splendore, poi quel sorriso così raro e gonfio di luce. Avevo salutato quel mattino comparso all’improvviso attraverso le fessure della tapparella della mia camera. Ero riuscito ad accoglierlo con gioia sincera per qualche motivo che evidentemente non conoscevo. Altre volte capitava di sorridergli ugualmente, ma non così di gusto. Avevo infilato i pantaloni comodi che mettevo quando intendevo sentirmi più libero, e urlato “Stò uscendoooo” pur essendo solo in casa. Avevo imboccato il viale di fiori ben curati che dall’ingresso porta all’uscita. Amavo la solitudine tanto quanto amavo la compagnia. Così ero balzato su Jimmy e mi ero fatto accompagnare dalle sue vele lontano verso la campagna fino a dove non si vedevano più le case. Mi era sempre piaciuta le terra, l’erbaccia che ci cresce, tutte quelle minuscole vite che ci passeggiavano sopra e che ci scavavano una infinità di calde tane all’interno, il vento che accarezzava i fiori cresciuti spontaneamente, il silenzio spezzato dai delicati sussurri della natura. Avevo chiuso gli occhi e aspettato, come mi era capitato altre volte, aspettato e basta. La natura sa ascoltare meglio di chiunque altro, ascoltare e basta, non da consigli, ascolta e non chiede niente in cambio. Poi avevo pensato forse fosse giunto il momento di smettere di drogarmi.

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domenica 31 agosto 2008

Quando mi chiama



Mi chiama solo quando sta cagando..

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mercoledì 27 agosto 2008

Caz che ho lasciato i polmoni in Sardegna




Arrivo a Roma che il computer ingoia un virus. Pure lui è allergico al rientro dalle vacanze. Entro in casa e capisco per quale motivo nell’ultimo mese e mezzo non ho acceso la televisione. La spengo e vago un attimo smarrito tra gli 80 metri quadri di un appartamento che non sento mio, tanto meno quando cè da pagar l’affitto. La verità è che il posto nel mondo forse l’ha trovato Volo, io osservo, confuso e traballante. In compenso ho trovato due bagni puliti e mi ci sono adagiato un attimo, così, per respirare. Certo la cacca a casa mia era stata un’altra cosa. Sarebbe bastata una virgola e non sarei più tornato indietro. Ho respirato Montenegro e lunghe conversazioni, passeggiate e spiagge notturne e mattutine. Ho respirato aria condizionata in un tabacchi di gente che vuole sempre “Un miliardario da 5 euro vincente” e “Marlboro da 20 che non facciano male”. Ad ogni battuta rispondevo con un sorriso. Ogni sorriso corrispondeva ad un vaffanculo. Un vaffanculo gentile, sia chiaro. Del ritorno a Roma ho amato certi visi buffi, certi sguardi dolci, certe persone intelligenti che io a confronto sono piccolo piccolo. Ho odiato la tv, internet e facebook con la sua ignobile ipocrisia. Ho odiato la mia di ipocrisia, la mia di confusione, nell’estate ranicchiata nel ripostiglio profondo del tabacchino di Arbatax. Volevo scrivere, non fare la fotocopiatrice e marcire in qualche squallido schifosissimo giornale. Ad un certo punto c’erano delle decisioni da prendere. Avevo passato il tempo a rimandare, cullato dalla vita, capito da pochi perché da pochi mi era interessato farmi capire. Salito sul carro a remi mi era mancato tutto per un secondo e tutto il resto mi era sembrato un sorriso carico di vaffanculo.

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domenica 17 agosto 2008

Chiappe bianche



15/08/2008
Ora che è nuda la guardo con un occhio diverso. E' ferragosto è non abbiamo comprato neanche due pesche per placeare gli spasmi famosi di Smilzo. Cadau di concede una ricca e sana colazione mentre Melania ci bestemmia da dietro gli occhiali scuri, posata su quel gommone che non può partire fino a che non arriviamo tutti. - Cazzo le pesche per smilzo - Mi viene da pensare mentre Cristian parte da lontano con l'idea di vedere Melania come mamma l'ha fatta. Conosce il marito Claudio, che è ricco ma talmente ricco che alla fine Melania l'ha sposato. Le cale son stupende. Mancano le pesche per Smilzo e qualcuno che sappia contare bene prima di comprare i panini. - Cazzo che palle - Penso mentre Claudio ci racconta della Porsche e dei suoi investimenti miliardari. Melania beve e racconta. - Cazzo che palle - penso mentre svogliato mi sorgono dubbi sull'amore che governa la coppia. - Cazzo che topa - penso mentre Melania mi dice che sono un ragazzo profondo. Cristian mi guarda e si sente pronto. Io lo guardo e mi sento pronto. - Sono le quattro e Melania e Claudio hanno il cervello che galleggia nel montenegro. - Potremmo distrarli e rapinarli - penso mentre Melania mi dice che ho la faccia da bravo ragazzo. Il Bagno nudi è una liberazione. - E poi ora che è nuda la guardo con un occhio diverso -. Penso mentre Claudio bestemmia perchè la moglie è nuda e ubriaca tra 4 strani sconosciuti sardi. Giovanni gira, gira, gira fino a quando non si perde. Minchia quanto gira Giovanni. Giovanni è una giostra che gira. Il freddo non aiuta, abbasso la testa e mi copro con la mano. Ne basterebbe metà. Abbasso la testa e mi copro con metà mano. Ne basterebbe metà della metà. - Cazzo come son messo male - penso, mentre mi auguro sia solo e soltanto colpa del freddo. Claudio non si è mica reso conto. Melania per un attimo ha gettato maschera e mutande. Nudi nell'acqua alle 4 e mezzo del mattino siamo tutti uguali. Guardo Claudio e penso che siamo quasi tutti uguali. Melania si riveste e rimette la maschera perchè domani è un altro giorno e l'immagine è importante. - Cazzo le pesche per Smilzo - penso prima di crollare in un sonno eccitato.

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sabato 9 agosto 2008

Liberi di essere


Ve la prendete con me solo perché sono un fottutissimo finocchio. Perché mi piace baciare gli uomini con la barba e stringergli con la mano il culo mentre tremanti mi guardano fisso negli occhi. Ve la prendete perché vomito a guardare i seni strizzati in un corpetto pornografico e i culi rotondi stretti in un paio di fusò bianchi a coprire il perizoma nero affondato tra due chiappe. Ve la prendete e m’insultate bastardi perché da piccolo giocavo con le barby con le mie compagne, mi piaceva il rosa e raccoglievo i fiori. Ve la prendete perché non ho mai preso a calci un pallone, non m’importa niente delle macchine e sotto i vestiti da figo porto completini da troia. Mi mettete le mani addosso perché sono gracile come una signorina, perché copro la barba con il fard, canticchio canzoni che neanche Malgioglio. Camminate spalle al muro quando passo per la strada. Urlate frasi oscene. Ridete, con violenza ridete. Che sogno di merda.

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mercoledì 6 agosto 2008

Brevemente




Finalmente a pesca. Fucile pinne ed occhiali servono solo a far fare quattro risate ai pesci. Niente di niente, solo un verdoncino spezzato in due e finito sotto uno scoglio. Il resto è una sinfonia leggera e importante, quasi silenziosa, delicata e forte allo stesso tempo. Neanche un pensiero paranoico. Tutti a Roma. Qua godo in silenzio. Minchia quanto godo.



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venerdì 1 agosto 2008

Sotto il segno del sogno




Va bene lo ammetto, il fisico non è certo quello di una volta. Una volta, se possibile, era anche peggio mentre ancheggiavo tra un palleggio e una rovesciata sulla spiaggia. Correvo, certo, anche e soprattutto se c'era da scappare da qualche calcio volante di Spantega. Io avevo comunque poche gambe, lui aveva per fortuna pochissimo fiato e così me la cavavo, a volte. I giorni ad aspettare che Bari Sardo si popolasse erano passati sotto il segno di un tempo perduto nei sogni, come da bambini, che un giorno le cose potessero cambiare. Il futuro sembra radioso fino a che non ci si mette un piede dentro, allora c'era da rimboccarsi le maniche e provocare il presente. Avevo cavalcato Jimmy e lei aveva trottato su strade male asfaltate e sentieri immersi nel nulla. L'idea di un uomo alto quanto un lavandino, sporco e sudicio, silenzioso e rude con in mano una mammella piena di latte di una pecora bianca a chiazze nere in mezzo a migliaia di palline di merda di centinaia di pecorelle belanti e accaldate. - Questo credono di trovare alcuni turisti - penso mentre costeggio Nuraghi ancora in piedi mete di Indiana Jones milanesi in cerca di tesori mai trovati. Sono naufragato in quest'isola dopo nove mesi di nuotate dentro il ventre di mia madre. Sono naufragato in quest'isola e mi ci sono affezionato. Non perchè sia un paradiso, solo perché ci sono naufragato e cresciuto. L’ho odiata a volte, mi è sembrata piccola, arida. Ma quando son tornato mi son sentito a casa. Non per la natura incontaminata ma perché ci ero naufragato tanti anni prima. Jimmy mi porta lontano, in discesa sfiora i 107 km orari e balla, balla, cazzo quanto balla da una parte all’altra in balia del vento e della velocità mentre autocarri e volpi e mi sorpassano con una stabilità che mi sembra di non avere mai conosciuto dentro questa scatola. Jimmy balla e inizio a sentire un odorino di bruciato mentre costeggio spiagge bellissime testimoni di inverni lunghissimi e monotoni in mesi in cui Milano e Bergamo producono soldi e programmano vacanze sulle spiagge affacciate su mari splendidi e bianchi. I mari sono splendidi e bianchi. Le spiagge grandi e pulite. I sardi sudici e bassi. I maialetti arrosto. Le pecore tante. Nessuno li ha sporcati i mari di questa dannata isola senza giovani nei lunghi monotoni inverni. Jimmy accosta un attimo, siamo quasi arrivati. Il tempo di una pipì tra erbacce secche, poi ripartiamo. Direzione Fertilia. Calippo atterrerà lì. La carico in macchine e le dò un buffetto sulla guancia. Jimmy è stanca, sente il peso delle valige posate nel sedile di dietro. Le bagno un po’ il vetro anteriore per rinfrescarla. Poi la incoraggio. Abbiamo alcuni giorni ancora davanti a noi. Poi si torna a sognare, a Barisardo, che le cose un giorno possano cambiare.

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giovedì 24 luglio 2008

La resa dei conti (Giorno 3)



Ora è tutto chiaro. Sono seduto al tavolo del Sard Rock con Walter e due ragazze. Non perchè siano due ragazze ma perchè sono tra i pochi esseri viventi presenti in questo posto dimenticato da Dio. Ci ha fatto tanta natura, Dio, poi ha detto "Beh ora vedetevela voi". Una è stupida e l'altra invece è troppo stupida. La guardo mentre tra una risata e l'altra gonfia la big babol fino a farla scoppiare riempiendosene la faccia. La big babol diventa enorme prima di scoppiare proprio come le tette che mette in mostra strizzate da un reggiseno troppo piccolo ed evidenziate da una scollatura troppo generosa. Nessuno mostra interesse per quello che dice, al massimo un sorriso ogni tanto per alleviare l'imbarazzo. Qualcuno pensa di portarla in spiaggia. Ma se poi sputa la big buble ed inizia a parlare? Meglio non rischiare. E'più sana l'astinenza. Tra poco arriveranno i nostri, pochi certo ancora, ma arriveranno e ci porteranno in salvo. Walter immagina che mentre fa l'amore con il ragazzo continua a scoppiare big babol. La band suona dal vivo Romeo & Juliet - Dire Straits - 1980. Alle due del mattino arrivano i nostri. L'atmosfera cè in questo posto dimenticato da Dio. E' magica, selvaggia, rilassante, d'altri tempi ma sembra nessuno se nè sia accorto. A volte sento un odore che mi sembra di riconoscere. Vorrei fare una foto alla luna che illumina il mare ma la mia macchina fotografica è miope la notte. Vado a dormire troppo tardi per svegliarmi troppo presto per andare al mare. Cè silenzio. Poche, pochissime anime, bella musica dal vivo ancora, tanti ricordi da riraccontare, profumi forti e natura. Selvaggia come gli odori. Birra, montenegro, panini e racconti ad alleviare la serata. Impossibile non svuotare la testa. Vorrei scrivere, tutta la vita. Anche quando stò in giro ho la tentazione di tornare e scrivere da un pò di tempo. Stò bene, benissimo in questo posto dimenticato da Dio. Mangio cibo favoloso. Ma so che l'inverno è un altra cosa, è lungo, freddo, vuoto. Ci sono le quattro ragazze in topless che la sera vengono al Sard Rock. I ragazzi dicono che in spiaggia sembrano sirene, abbronzate, abbronzatissime. Mostrano seni e culo con disinvoltuta e naturalezza e servono per far sognare un pò la gente che per mesi è rimasta in letargo. A vederle passare non sembrano poi così belle, ma se lo dicono gli altri cè da crederci. Quanti montenegri, birre, sigarette. Si parla spesso di un passato neanche troppo lontano. L'inverno c'erano tanti ragazzi che nel weekend si riunivano in piazza. Tanti, anche in settimana. Tutti con i motorini rombanti giù fino al mare a far due tiri a pallone o baciarsi per ore con la ragazza di turno. L'estate si popolava di turisti. Belle e brutte ragazze. Sempre e comunque interessanti. La spiaggia si riempiva di coppiette vogliose di romanticismo ed intimità. La notte ci si faceva il bagno e si stava in spiaggia a giocare e parlare. Cè tanta voglia di rivivere le stesse cose. di sentirsi un pò più liberi, selvaggi. Non cè niente qui, ma noi che torniamo stiamo bene. Basta una birra, il mare, quattro ragazze in topless e la compagnia di chi ti capisce con uno sguardo.

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martedì 22 luglio 2008

Secondo giorno ( Kikkukikkù)




Alba di mare. Mi sveglio che ancora sento il profumo che mi era sembrato di riconoscere. Il rito della spiaggia con Kikkùkì è uno dei ricordi piacevoli che scaldano l'inverno. Arrivo in ritardo, tramortito dal sonno. "Non ho fatto colazione" lo avviso ma tanto a lui non importa niente, diritti al mare. L'isola è nostra, la spiaggia è nostra, l'acqua è nostra.."Ma dove cazzo vanno i turisti? Ma penseranno tutti veramente di trovare la sardegna nel covo di Briatore?" poi ci sdraiamo al sole. C'è un leggero venticello. Un bagno fugace. Torno ad Arbatax e poi da Arbatax stanco, ho dormito poco e sono solo in casa. Son le nove e mezza e ho fame. Mangio ed esco sul terrazzo. Il geco neanche si accorge del mio ingresso, occupato com'è a divorare quella farfallina ingenua che gli si è posata troppo vicina. Un balzo e puf morta prima ancora di aver capito di esser nata. Neanche un progetto per la farfallina. Niente stress pre o post laurea. Niente stage, barbosi lavori e ferie. Nata e morta in un momento. Giusto un battito di ali. Non nè rimane che una zampa. Mi cantano la ninna nanna pecorelle e grilli. Il Geco ha ancora fame. Io ancora sonno. Ma se io dormo lui mi mangia? Allora filo in camera..buonanotte..

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Lo sbarco




Presto, troppo presto. Alle cinque del mattino la nave è già in porto. Si inizia a respirare. E' buio. Presto, troppo presto arrivo a casa che nessuno aveva lasciato un paio di chiavi per entrare. "Dormo in macchina" decido che Jimmy già sdraia i suoi sedili e io mi accuccio, cullato dal silenzio. Mi sveglio che subito mi pongono un quesito "Ci vai tu al tabacchino fino alla chiusura?". La prendo come un affermazione, forse lo prendo come un consiglio. Me è un buon consiglio, un giusto consiglio. Mangio, finalmente cibo degno di questo nome. Attendo con pazienza che il pastore ordini al gregge di far strada a Jimmy. Respiro polvere stavolta. Il mare è un pò mosso, la spiaggia è enorme, praticamente vuota, si sente solo il dondolare delle onde..e il vento. Philip Morris, Marlboro, gratta e vinci e ricariche, calamite , cartoline, francobolli, racchettoni, preservativi, lotto e portachiavi. La sera senza colossei nè piazze enormi Respiro. Poi con l'Inchnusa in riva al mare a dire sempre le stesse cose, con sempre le stesse persone. Il tempo si è fermato. Il tempo scorre lento. La vita scivola dentro ogni vena, senza fretta. La spiaggia è enorme, vuota e magicamente illuminata dalla luna. "Guarda che tette quella là", "Minchia". C'è uno strano odore che mi sembra di riconoscere. Mi mette sonno..Sogni d'oro.



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