sabato 29 novembre 2008

S'Astaria




Attraverso mari in burrasca per scoprire l’inverno di un'isola lontana qui che l'inverno è un altra cosa anche se il mare resta il posto più popolato anche quando il freddo gela campi in erba paradiso di pecore e buoi e dei loro pastori dai pantaloni in velluto sempre un po’ imbronciati con le loro urla e i loro bastoni nel silenzio della campagna e il resto è deserto o quasi, come nei vecchi film western, un paese fantasma con qualche cadavere fuori dai bar a bere birra o mirto e dire la sua sull’ultimo morto di Ilbono o sui terreni confiscati a Francheddu o sul figlio dei Cau che spaccia e si buca sotto i piedi perché così non se ne accorge nessuno e ruba a volte, così hanno detto almeno a s’Astaria che ruba a volte e poi qualche ragazzino a impennare per il corso senza casco e qualche volta a sfasciarsi a terra e sfondarsi il cranio povera anima volata in cielo pianta da tutti quelli che diranno che era un bravo ragazzo finito nell’abbraccio di cattive compagnie e poi le ragazzine con i seni in vista per conquistare il più burdo del paese che però ha la moto truccata e la Clio assetto ribassato e offre la coca, non la fa mai pagare la offre e anche se non ha la terza media a letto è un toro dicono, lui che è cresciuto nella strada figlio di una vita difficile che non gli ha concesso i privilegi degli altri lui che se l’è sempre dovuta sbrigare da solo e se ruba o spaccia o fa del male è perché è la vita non perché è uno stronzo senza voglia di fare un cazzo. La domenica i ragazzini in chiesa e le nonne a predicare, il prete a benedire e poi a giocare a calcio balilla e se è libero a biliardo da Ziu Piero o alla Rosa dei Venti o da Mundicca e poi nient’altro, tutti al mare in macchina con il riscaldamento acceso a far l’amore, a sentire la musica fumare e tirare di coca che tanto controlli qui non ce ne sono e il massimo che ti può succedere e finire la roba o avere la ragazza con il ciclo.

Fumo hascis solo dove sono sicuro di non essere visto da nessuno. In paese le voci corrono e non mi va vengano a saperlo persone che potrebbero restarci male. Gli altri li hanno beccati tutti chi prima o chi dopo e altro che hascis e se ne sono anche fregati dei rimproveri che hanno ricevuto da genitori che anni prima avevano fatto lo stesso e da altri che ancora adesso lo fanno e da forze dell’ordine che novanta volte su cento chiudono un occhio poi si svegliano all’improvviso e fanno come se drogarsi, farsi, fumare, tirare in questo posto, in quest’isola felice e selvaggia, arretrata e sincera, in quest’isola di uomini che pensano oltre il mare sia finito tutto, fosse veramente vietato da qualcuno.

Qui, nell’isola che l’inverno non cè

Leggi il resto!

martedì 25 novembre 2008

Nobildonna



Si l’ho detto e vero e l’ho ammesso e l’ho ostentato e l’ho rimangiato e adesso ricreduto che volevo fare il giornalista che sarei diventato famoso e sarei andato in qualche convegno a dire cose che i presenti ascoltandole avrebbero applaudito come fanno con tutti senza far caso alle banalità e nella certezza che chi è conosciuto per un qualche stupido o meno stupido motivo debba saper dire sempre qualcosa di interessante e mai scontato davanti a persone pronte a battere le mani di riflesso, d’istinto, inutili persone dall’aria intellettuale. Avevo pensato tutto d’un fiato sorseggiando vino di cantina di quelli che lasciano l’amaro in bocca e che si incastrano, come coppie in amore, con l’acido della sigaretta inumidita e cancerogena.

Neanche io sapevo se volevo morire di stenti in una redazione stracolma di impiegati chiamati giornalisti a scrivere frasi ad effetto per quotidiani che qualcuno avrebbe letto e cestinato insultando quella classe di scrittori falliti con il tesserino sempre in vista e la notizia da pompare che altrimenti non si vende, non attira, non ci interessa, non fa rumore.

E poi avevo da pensare ad altro, avevo paura di morire e avrei messo la firma per campare almeno fino a novanta anni e dire le mie frasi saccenti a moccioselli con il cazzo in tiro e tirare merda addosso ad un mondo di moralizzatori con la coda da diavolo e le ali da angelo sempre pronti a dire quello che è più giusto fare in quella società che si prende il diritto di scegliere quello che devi essere.

Allora per sintetizzare la mia risposta le avevo detto – Ehmbe? – a lei che mi aveva detto che nella vita bisogna avere la testa sulle spalle sopra il collo con il cervello ben posizionato e cercarsi un lavoro sicuro e impegnarsi per fare carriera e costruire un qualcosa di serio che altrimenti me ne sarei pentito e lei aveva già un lavoro, un uomo con un posto da dirigente un cane che glielo invidiavano i vicini una macchina che quando arrivava nei locali la facevano entrare sempre per prima senza far la fila amica com’era di gente importante di luoghi importanti dalla cariche importanti. – Ehmbe ? – le avevo risposto e avevo gettato la sigaretta nel lavandino che tanto la sguattera l’avrebbe presa e gettata senza dire neanche una parola, senza ribellarsi a quella vita di umiliazioni alla quale era sottoposta dalla Nobildonna che mi volevo scopare e mi ha portato a casa sua solo per darmi delle indicazioni precise su come soccombere alle sue direttive di vita.

- Sai perchè non mi piaci? – mi aveva detto quella nobildonna, Sonia, come mi aveva concesso di chiamarla una delle sere dopo che l’avevo conosciuta per caso ad una festa di chiattoni, - Non mi piaci perché non sei nessuno e ti comporti come se chi hai davanti avesse le pezze al culo come te e la tua modestissima vita da sognatore –

- Embhe – mi sarebbe venuto da rispondere ma me ne era passata la voglia e me ne ero andato con le pezze al culo in quella vita che sapeva dare lezioni migliori di qualsiasi altra nobildonna in prigione.

Leggi il resto!

lunedì 24 novembre 2008

Emy


Il cielo è splendido, dipinto di colori che al di la del mare trovi solo negli enormi cartelloni pubblicitari che dall’alto controllano la città. Ma non è il cielo che sono venuto a riprendermi. Io morboso pastore di una morbosa storia d’amore che come un gregge tutte le mattine ho portato a respirare in attesa di mangiare della carne di cui non ho mai sentito il sapore.

- Bentornato – mi dice Emy mentre le tiro la coda morbida sulle spalle. Ho ancora gli occhi gonfi dopo la notte insonne in balia di onde fastidiose ed eccitanti.

- La mia non era paura ma prudenza. Da addormentato non so nuotare -.


Poi mi bacia timida sulla guancia e torna alle sue cose. Io non so cosa sono venuto a fare ma nel silenzio mi sembra di riprendere un po’ di energie. Difficilmente si lamenta, ha le energie di due, tre, quattro persone insieme e a volte la invidio, osservandola, perché non sembra poterle esaurire mai.

In camera ho un mappamondo e un quadro pieno di foto. Una volta prima di trasformarsi da farfalla in bruco mi aveva chiesto di girarlo e poi fermarlo in un punto a caso. Lì ci saremmo dovuti un giorno sposare.

L’avevo fermato in mezzo al mare.

Leggi il resto!

martedì 18 novembre 2008

Al bacino e il cartello sulla bara



Lui muoveva i fianchi manco fosse Al Bacino, lei sorrideva e a tratti distribuiva sguardi che non necessitavano di parole.

- Ti sei divertita? – Avevo detto polemico e fintamente disinteressato
- Molto – mi aveva risposto mentre rientrava con me ma solo fisicamente

Poi un giorno mi aveva lasciato dicendomi che forse per il momento, un attimino, per un breve periodo di tempo non definito, momentaneamente ma istantaneamente e delicatamente mi dovevo togliere dai maroni.

- Devo pensare – mi aveva detto e mi sembrava inutile chiederle a chi o a che cosa

L’avevo rincontrata dopo un anno accanto al suo ballerino

- Hai pensato? – le avevo detto, ma evidentemente non ne aveva avuto il tempo

Non mi aveva risposto e mi aveva presentato Fabio, in arte Al Bacino, ballerino di discoteche Fashion situate in zone Fashion frequentante di quei giri Fashion, circondato da persone Fashion di cui per una serie di motivi non potevo fare parte.

- Piascere Fabbio – mi aveva stretto la mano e guardato con lo schifo di chi deve ravanare dentro un cesso tappato per necessità.

Nella sua bara un giorno, insieme a suppellettili fashion, accanto ad un fiore seccato restava un cartello scritto a penna che recitava più o meno così – Menomale -

Leggi il resto!

martedì 11 novembre 2008

Il vestito rosso


Lei mi dice che non sa cosa vuole dalla sua vita.

- Quale vita? - Mi chiedo
- Sono anni che vivi di riflesso quella degli altri -. Poi taccio.

Mi guarda e piange nuda, nuda davanti a se stessa, nuda davanti a una verità che
fa male quanto mille schiaffi in pieno volto. Ha un vestito rosso acceso, ha un vestito rosso come i pesci nell’acquario che avevo in un'altra casa. E’ bella, mi sembra bella a guardarla, rossa con le calze colorate e il viso buffo di chi non sa cosa dire. Mi sembra bella, soggettivamente bella guardata con gli occhi di chi vuole vedere oltre quelle lacrime, quel vestito rosso pesce, quel viso buffo e confuso di chi affacciata al balcone guarda la vita degli altri senza viversi la propria.

La radio passa Boa Sorte di Vanessa Da Mata, canta Vanessa Da Mata e fuori è freddo e lo sento nelle ossa.

Perché piangi? – Le chiedo sapendo che non risponderà, scende dal letto dov’era accucciata come i bimbi quando aspettano un rimprovero. Scende dal letto e infila le scarpe nere lucidissime che indossa mentre affacciata al suo balcone guarda la vita degli altri come i pesci rossi nell’acquario che avevo una volta in un'altra casa.

Era andata via ma ero andato via prima io, senza dire niente, mentre la guardavo e mi sembrava bella, bella e buffa, bella e confusa, soggettivamente bella dispersa in un mondo in cui non aveva il coraggio di respirare, che non sapeva ammirare e di cui non sapeva godere impegnata com’era, affacciata al suo balcone, ad osservare il mondo degli altri.

- Dove vai? – Le avevo chiesto, ma da tempo ormai ero rimasto solo.

Leggi il resto!

martedì 4 novembre 2008

Good by amore



Un giorno tornando a casa le avevo fatto trovare il vuoto. L’avevo rapinata dei tutte le mie cose ed ero andato via stufo di discutere e di ascoltare le solite scuse sull’amore elemosinato. Avevo lasciato sul letto sfatto una mia foto sorridente su cui avevo disegnato una vignetta in nero

- Non è che non ti amo più – mi diceva a volte lei – però, però, però – sempre con sti cazzo di però

C’erano delle priorità nella sua vita e nella nostra vita di coppia, lei era la priorità, lei era il centro del mondo, lei era la base, lei era l’altezza, l’ipotenusa, il raggio e il diametro di tutto.

Avevo lasciato il vuoto ed ero partito. Alcuni giorni prima avevo contattato un’amica francese e un amico londinese e chiesto alloggio a pagamento per un breve periodo in cui avrei anche cercato un lavoro part-time che mi consentisse di studiare. Non avevo deciso ancora da chi sarei andato. Non avevo cambiato numero ma non avevo nessuna intenzione di risponderle. Aveva avuto la sua occasione e non l’aveva saputa sfruttare. Con le promesse i bambini africani ci muoiono di fame se poi nessuno tende la mano con un pezzo di pane caldo.

Dentro la vignetta le avevo scritto Se hai qualcosa da dire la foto ti ascolterà in religioso silenzio e basta, nessuna polemica, solo una frase stupida che mi era venuto da scrivere sul momento. Mi dispiaceva un po’ per quello che avrebbe dovuto patir la foto ma l’avevo comunque dovuta sacrificare.

Ero partito e mi veniva da ridere a pensarci.

Mi aveva chiamato tre volte e non le avevo mai risposto. Volevo tenesse strette nella sua testa le immagini di qualche sorriso, di qualche serata speciale, di qualche abbraccio piuttosto che le risuonasse in testa un ultima pesantissima sfuriata telefonica. Allora non le avrei mai più risposto.

Io alla fine non ci avevo più pensato. Avevo conosciuto una ragazza a cui non dovevo chiedere niente. Le veniva spontaneo abbracciarmi, ridere, preoccuparsi per me, fare l’amore senza chiedermi l’ora di inizio e quella della fine, senza vivere affogata da problemi immaginari, le veniva spontaneo chiedermi aiuto, vivere il presente e immaginare il futuro. Non aveva paura di far la doccia perchè altrimenti si bagnava i capelli, appoggiava il culo sul marciapiede senza aver paura di sporcarsi, a volte fumava qualche canna altre no a seconda della serata. Avevo trovato una ragazza cosciente che la vita è una linea delimitata da due punti da riempire a più non posso. Certe persone pensavano fosse infinita la vita, per cui rimandavano continuamente, poi morivano e in punto di morte guardando quello che lasciavano sulla terra si domandavano – Ma che cazzo ho fatto? – questo si domandavano, poi morivano con il cuore pieno di sentimenti ed emozioni mai provate, mai donate, mai vissute.

Leggi il resto!