giovedì 11 dicembre 2008

In penombra




Avevo poggiato la mano aperta sulla tetta sinistra e sognato paradisi lontani e spiagge e sole e cieli azzurri e l’erba umida come al mattino – e fanculo se non aveva una quarta -. Faceva caldo da morire sotto le coperta grossa di lana che copriva un letto grande ma non troppo quando in due si ha bisogno l’un dell’altro, si sente bisogno l’un dell’altro, si ha voglia di stare l’un con l’altro. Faceva caldo da morire dentro la stanza dalle mille ombre illuminata solo dal candore della luna.

Non pensarci mi aveva detto – ma io ci pensavo eccome a momenti, come se ci fossi stato, se l’avessi vissuto perché in fondo l’avevo vissuto, attraverso i racconti, la fantasia, le intuizioni.

L’avevo spogliata pian piano e baciata sulle labbra – Sei bella – e mi ero addormentato con la mano poggiata sulla tetta sinistra, quella più lontana.

Il mattino aveva bussato alla porta prepotente con i suoi raggi di sole gialli infuocati e il vento irruento che bussava alle finestre. Avevo infilato la testa sotto il cuscino e guadagnato attimi preziosi, poi avevo ceduto e mi ero alzato e avevo fatto buio. Non avevamo fatto l’amore perché non ci andava, a me andava, a lei no e quindi che mi andasse o meno poi alla fine era la stessa cosa.

L’avevo tirata verso me di lato e viso a viso avevamo dormito ancora un po’. Non parlavamo d’amore, non c’era amore o non quello che si intendeva di solito, c’era affetto, complicità, voglia di star bene, c’erano sorrisi, c’era prendersi in giro, non prendersi sul serio, c’era ascoltarsi e rispettare gli spazi, c’era il suo fidanzato. Non per ultimo, c’era il suo fidanzato, non l’avevo dimenticato, c’era il suo fidanzato.

- Un tipo strano - diceva lei, che avrebbe lasciato a momenti, non per me, l’avrebbe lasciato e basta – E poi alla fine pensi ci siano persone che non si tradiscono, che non si baciano, che non si sfiorano, toccano, scopano nonostante quelle ipocrite promesse d’amore? – Non avevo mica saputo rispondere.

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mercoledì 10 dicembre 2008

Un passaggio





Io glielo avevo dato lo stesso un passaggio. Un carnevale di 15 anni prima ci eravamo messi le mani addosso, questione di coriandoli e bombolette spray, poi più nulla, oltre dieci anni di silenzio, non mi aveva più parlato, a vederlo mi sembrava non lo avesse più fatto con nessuno.

Si era avvicinato tendendomi la mano – Ciao, come stai – e mi aveva chiesto un passaggio tutto d’un fiato con lo sguardo rivolto verso terra senza dire altro. Come se ci fossimo salutati altre volte, come se le nostre vite si fossero incrociate in qualche occasione che non riguardasse la questione dei coriandoli e delle bombolette spray. Un passaggio ci aveva fatti incontrare, un servizio, un piacere, un occasione o come si volesse chiamarla. Dipende come le guardi le cose.

Avevo allungato la mano e sorriso – Finisco alle sette e mezza –

Lavorava in qualche peschereccio e il suo odore copriva quello non troppo gradevole di Jimmy, così nonostante il freddo avevo aperto un poco i finestrini e respirato a scaglioni, una volta ogni curva, una volta ogni chilometro, una volta e basta in tutto il resto delle strada. Io glielo avevo dato lo stesso un passaggio. In macchina neanche una parola, sguardo fisso al finestrino,sguardo spento verso l’orizzonte, sguardo rivolto dalla parte opposta. Era sceso e non né avevo sentito la mancanza, avrebbe probabilmente continuato a non salutarmi, forse a non salutare nessuno.

Per alcune decine di mesi ero stato il burattino di corte, al servizio di chi doveva risolvere i propri problemi, alla corte di chi chiedeva ma dava da un'altra parte, al cospetto di chi, accecato da quella sensazione, avevo servito senza domandarmi se fosse giusto. Neanche quello mi doveva mancare, sorretto da una banda di rustici compagni, burdi e leali, scontrosi ma onesti, divertenti ma sinceri, loro che mi avevano sempre detto le cose come stavano, senza paura di ciò che erano nè dei giudizi della gente, loro senza bisogno di essere universalmente riconosciuti, loro dalla barba di qualche giorno, quelli curati ma quando né hanno voglia, schiavi di nessun pregiudizio sociale, liberi di fare le cose che attraversavano il cervello, liberi di vivere.


Per alcune decine di mesi ero stato il burattino di corte poi avevo parcheggiato e fatte le scale avevo ricominciato a scrivere, tutto di fila, senza fermarmi, senza pensarci, per il gusto di farlo, per la voglia di buttarlo giù.

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Avvisi Bacheca



Diciamo che pavoneggio, stabacco, studio e sPietro in attesa del Venerdì Cagliaritano. - Easy Drink - mi ha detto Reddu, - Pren’e udda – aveva aggiunto un altro ma sappiamo come vanno certe cose.

Al di là degli incentivi vari volevo avvisare Doris che non mi sono dimenticato dei Test Laurea e chiedergli quanto tempo mi concede ancora, dire a Raffaele che forse una piccola macchina fotografica tra le due proposte mi arriva e mi aspetto qualche spiegazione da lui, dire ad Ale Ferro che - a giorni ti chiamo e ti racconto due cose – a Elisabetta volevo ricordare che da oggi diamo via al patto di non belligeranza, volevo avvisare Martu che Venerdì scendo a Cagliari e si deve far vedere, volevo dire a Lorenzo che Berlino mi piace un sacco e se mi dovessi ricordare altro sarò lieto di avvisare in questo stesso post.

Si avvisa inoltre che sto cercando una stanza anche doppia dove trasferirmi con tutto il mio capitale romano anche se per breve periodo, chiunque dovesse sapere qualcosa sa dove cercarmi. Si avvisano gli studenti Lumsa che le date d’esame sono uscite.

Mi sembra per il momento possa bastare.

Cordiali Saluti

La Redazione di Gandhinews

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lunedì 8 dicembre 2008

Dipinto a sei mani


Dita su dita e mani sudate che si uniscono in un abbraccio, corpi che si avvicinano, labbra su labbra, lingue impazzite incontrollabili scivolose, corpi che si scaldano e stringono, sangue che scorre e cuore che pompa follemente pompa sangue che invade vene e le gonfia, pressione alta, altissima, occhi che sorridono complici - Ce l'abbiamo fatta - occhi che si schiudono

- Come può tradire una persona innamorata ?! – aveva chiesto
Come se la merda non tornasse a galla prima o poi putrida e lercia come una domanda ipocrita e le parole viscide sfuggenti di chi si prende il lusso di provare a mettertela nel culo senza saperlo fare.

Angoscia, nodi che si stringono come corde robuste alla gola, ancora più strette, soffocamento, cuore che rallenta il ritmo poi aumenta poi rallenta, buio orgoglio disperazione lacrime che solcano il viso e inumidiscono il labbro, castelli che crollano, castelli di sabbia che crollano al primo sospiro profondo.

- Dimmelo tu – avevo risposto, pur conoscendo bene l’argomento

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sabato 6 dicembre 2008

L'orologio degli Dei


Bevo un sorso d’acqua e sento la sete alleviarsi pian piano, ne bevo un altro e un altro ancora ed è come quando esco dal fondo del mare senza fiato e respiro profondamente e mi sembra di nascere in quel momento. Appoggio il bicchiere asciutto prosciugato e inutile senza liquidi, poggio la mano sulla spalla di chi trovo lungo la mia strada ed esco.

Oggi non l’ho sentita, non ho risposto alle sue chiamate insistenti nè al richiamo della solitudine, ho chiuso il libro e la lettera che un giorno mi aveva scritto in preda alla follia di una penna che scorreva da sola come nell’olio come trainata da una forza invisibile e travolgente come indemoniata e impazzita inferocita e inafferrabile e sono uscito e ho guardato il mare e in silenzio mi ci sono avvicinato, la costa era imponente e deserta e io ho avvicinato il mare e a piedi nudi ho sentito il freddo dell’acqua azzurra di Dicembre e poi la sabbia grossa e fastidiosa sulle dita e ho ripercorso la strada al contrario e ho pensato che avrei potuto cambiar vita mollare tutto e tornare indietro, fare come in certi libri e in certi film, vivere del mare e della pioggia del freddo e del caldo e degli abbracci e delle pacche sulle spalle di qualcuno tra un mirto e un’inchnusa e una battuta scontata dopo pranzo e prima di sera per poi addormentarmi sereno come padrone incontrastato del mondo, del mio mondo.

Come se oltre il mare fosse il vuoto

Avevo pensato a giornate gelide come la neve sulle mani nude e a quegli errori che spesso mi rimproveravo, prima del giorno in cui avevo smesso, dicendomi di guardare avanti cercando di arraffare il futuro aggrapparmici come a tutte le cose incerte perché nell’incertezza c’è sempre stata la vita, nella certezza – fanculo alla certezza – avevo pensato, le certezza è la morte di tutte le cose nella certezza non cè scoperta né curiosità né stupore né quella vita stessa che io volevo proteggere per il poco che potevo, finchè l’inquilino su in alto me lo avrebbe consentito.

La vita o è un’audace avventura o non è niente avevo sentito una volta mentre il mare scuro e profondo e misterioso sotto i piedi trasportava quel barcone grande quanto mille balene bianche verso un porticciolo di pescatori di un piccolo villaggio della provincia sarda.

Cosa né sai, le avevo detto , cosa né sai Adesso, mentre prima di dormire sento il cuore dentro battere come un tamburo picchiato dalle mani di mille negroni possenti e i miei occhi sono lucidi e umidi di malinconia e ricordi e amore rubato strappato come un bimbo dalle braccia della madre, adesso che ascoltando le tue urla la tua voce tremante i tuoi lamenti i tuoi dolori non capisco cosa succede e dove’è finito il sorriso accecante dei tuoi occhi caffè delle tue espressioni bizzarre e sconce buffe disneyane e il tempo scorre e non cambia niente e mi sembra di impazzire, cosa né sai della luce con cui mi hai travolto la prima volta che ho appoggiato le mie labbra alle tue..e altre cose ancora le avevo detto nella mia testa, un attimo prima di dormire

Un filo di luce aveva attraversato la tenda azzurra, un nuovo giorno, di quelli incerti in cui puoi immaginarci dentro tutto ciò che vuoi e passare le ore a riempirlo di ciò che hai immaginato nel tempo scandito dall'orologio degli Dei.

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