martedì 31 marzo 2009

- Lucia si chiama, Lucia -



Avevamo deciso di giocare, non dovevamo più cercarci, mai più, il primo che avesse ceduto avrebbe dovuto fare qualsiasi cosa avesse deciso l’altro. Non avremmo fatto l’amore, se avesse perso lei avremmo dormito insieme, niente sesso, non potevamo far l’amore, io potevo, lei no e comunque non voleva – mai – aveva detto, solo dormire al massimo se avesse perso, abbracciati ma non troppo, non poteva lei e comunque ci saremmo incontrati in stagioni più calde, con la sabbia fresca la notte e la luna soltanto a illuminare il suo sorriso – sorridi amore che ti illumina la luna -.

- Possiamo fare l’amore – le avevo detto – sul tardi, in roulotte, dipende da come sei messa tu – le avevo detto - l'hai mai fatto in roulotte? No e comunque mai nella mia sulla spiaggia, poi sul tardi c'è silenzio, due birre e scendiamo in spiaggia, ci sarà qualche falò, quando sei stanca ti porto a dormire – le dico – se ti va prima di andare a dormire facciamo il bagno, l’acqua è calda a quell’ora, a notte fonda, è calda l’acqua. L’unico problema sono i buchi sulla sabbia, se facciamo l’amore in spiaggia dopo un po’ ci si ritrova dentro un fosso, l’hai mai fatto sulla spiaggia? –
- Stai scrivendo un post? – mi risponde ma non era quello che stavo facendo, stavo solo viaggiando con la fantasia, il post più tardi, dopo l’avrei scritto.


- Avrei freddo in spiaggia forse –
- Porto l’asciugamano – dico – facciamo il fuoco, non li bagni i capelli se vuoi, non li bagni – le ragazze non amano bagnarsi i capelli, fanno sempre storie per i capelli, pensano sempre al dopo, se fanno il bagno poi li devono asciugare, se escono prendono freddo, se mangiano ingrassano, se ti baciano la prima sera poi lui pensa male, quanti problemi si fanno le ragazze a volte.

- Al Momò andiamo – dicono – al Momò – e invece andiamo da un’altra parte in zona San Giovanni e se non mi ricordo il nome è perché non lo ritenevo così importante, non ho molta memoria o forse perché non l’ho mai letto il nome di quel ristorante. – Sei tu che sei stronzo – mi dice - che pensi che io – mi dice – che io arrivi dalla luna e possa guardare le persone dall’alto verso il basso e giudicarle senza conoscerle e criticarle forse, questo pensi, forse – e non è quello che stavo pensando.

Non ricordo mai i nomi delle persone appena conosciute, non ci faccio caso, non è distrazione, è che sono concentrato su altre cose, su altro mi concentro e a volte me li ricordo, altre no, ma non mi sembra poi così importante.

- Non è quello che sto pensando – le rispondo – non penso questo, è la confidenza e l’approccio che è sbagliato – dico – se tu rispondi certe cose, ecco, se tu rispondi in quel modo mi viene da pensare che ti metti al centro del tutto, in un dialogo a due il centro è diviso per metà, una non può occuparne una parte più grande dell’altra, si crea uno squilibrio – dico per la prima volta e non penso e la guardo e l’ascolto e vorrei ridere ma non lo faccio – E l’approccio che è impossibile – le dico, la condizione, la situazione – ci sono persone che si incontrano nel modo sbagliato e non esiste maniera di approfondire – dico e aspetto che risponda come risponde lei – Non è poi così importante che ci conosciamo – mi aspetto che risponda ma lo ha già detto ad inizio serata e non lo ripete, non ci casca e non lo ripete e sorride e sembra sincera comunque – sincera – potrebbe essere e abbiamo parlato e sembravamo normali, due persone normali che parlano io lei l'altra e qualcun'altro poi che aveva voluto dire la sua, tutti normali, ma sempre con sospetto mi guardava. Negli occhi lo leggevo, nei suoi occhi ma - non è così importante che ci conosciamo - e mi ero allontanato prima che lo ripetesse e rovinasse tutto.

Fumiamo una sigaretta prima di tornare a casa – Lucia si chiama – penso e scandisco bene il nome quando vado a salutarla, - Ciao LUCIA – dico e torno a giocare. Sento la sorellina e vado a dormire, - Sogni d’oro amore – dice e mi basta per dormire bene.

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domenica 29 marzo 2009

Equilibrio emozionale


- Noi abbiamo un potere di scelta limitato – dico ad Ale – Hai mai pensato alla donna che vorresti al tuo fianco se fossi talmente bello da poterle avere tutte ai tuoi piedi? –

- Quando stavo con lei pensavo che l’avrei scelta tra milioni, non m’importava delle altre più belle, di quelle proprio non m’importava, mi piaceva l’idea di condividere tutto con lei perché era lei, con le sue certezze e i suoi dubbi, adoravo i suoi difetti – mi dice – Se fossi stato l’uomo più bello del mondo forse avrei avuto meno possibilità di perderla, tutto qui, ma sai quanti uomini belli hanno comunque perso la persona che amavano? Non si contano, io almeno non li ho mai contati – dice e ride – non me ne frega un cazzo di contarli, se vuoi saperlo contateli. Allora se anche quelli belli corrono dei rischi non sarebbe poi cambiato molto. Qualche scopata in più forse, sicuramente qualche scopata in più, ma l’amore che c’entra con questo? Non c’entra l’amore – mi dice Ale mentre lava i piatti.


Quando stavamo a Milano non lavava mai i piatti, mai di buon umore, facevamo i castelli come sulla spiaggia, i castelli di piatti pentole e bicchieri, quando stavano per crollare ce li giocavamo alla Play, - chi perde li lava, non chi vince – mi diceva che sapeva di essere più forte di me.

- Vuoi sapere un segreto? – mi aveva detto lei ieri – Certo – mi piacciono i segreti delle donne, uniscono i segreti, legano, come manette, come lucchetti senza chiave legano, i segreti, - Certo – le avevo risposto e le avevo baciato le mani, prima una e dopo l’altra, bianche le mani che avevo baciato aspettando di condividere un segreto, io lei e un segreto, basta, nient’altro, profumate di vaniglia le mani che avevo baciato, bianche, lisce, piccole le mani che avevo baciato.


- Vuoi sapere un segreto? –, – Certo – le avevo risposto ma – Ti prego dimmelo subito – avrei voluto rispondere che pendevo dalle sue labbra dalle sue parole, dai suoi pensieri dai movimenti della sua lingua stavo pendendo.

Non ho mai capito le persone che passano i fine settimana in improbabili corsi stimola emozioni. “Equilibrio emozionale”, “Crescita personale emozionale”, “Riequilibrio emozionale” , tendere la mano e unirsi in un abbraccio e sorridere e accarezzare persone che non si conoscono per – Stimolare l’energia che è dentro di noi – dicono loro – far esplodere le sensazioni racchiuse dentro di noi – con i loro riti imbarazzanti per fuggire da vite piatte, - non riescono ad uscire da quelle vite, hanno paura, paura – penso. Non li capisco proprio, non dico che sbagliano, solo che non capisco, dico, solo questo, buttati cazzo, buttati e rischia e cadi e rialzati e sfonda e scala, dico io, altro che Training emozionale a 700 euro a weekend, che i maestri di vita ci vanno a puttane con i tuoi 700 verdoni di emozioni, ecco dove ci vanno. Pagano per abbracciare un’altra persona che ha pagato per abbracciarti perché fuori da li non hanno il coraggio di farlo.

Lei non mi sembrava una di quelle persone, aveva il coraggio di farle certe cose, di dirle, di far male pur di dire in faccia la verità, non temeva il confronto il giudizio degli altri, non lo temeva, era spontanea, meravigliosamente spontanea mi sembrava.

- Non so se lo amo ancora – mi dice guardandomi fisso negli occhi – Non so se lo amo e voglio lasciarlo e voglio allontanarmi, non so neanche se l’ho mai amato, all’inizio forse, all’inizio e basta o forse erano i discorsi di mia madre – è un buon partito – mi diceva mia madre e mi faceva pensare che dovevo amarlo, mi ero costretta ad amarlo e ora non ce la faccio più, non è lui quello che voglio e la sera a letto non lo degno di uno sguardo e non mi sveglia neanche per chiedermi il perché, siamo uniti da un contratto, ma io non voglio morire piena di soldi, voglio morire piena di emozioni – mi aveva detto ed era seria come non l’avevo mai vista prima.

Erano anni che l’avrei voluta baciare, per rispetto non l’avevo fatto per rispetto del suo uomo e della sua storia e di un amore che non era amore e allora mi ero sentito libero per un attimo dopo averla ascoltata di buttarmi e sentire il suo sapore ma non lo avevo fatto, si sarebbe sentita peggio, si sarebbe sentita sporca e invece doveva uscirne pulita, l’avrebbe lasciato a breve e poi ci saremmo rincontrati e allora sarei stato libero di dirle quanto mi piaceva, quante volte l’avevo sognata e poi pensata certe sere quando a casa rimaneva il suo profumo. Non cucinavo neanche per paura si confondesse con altri odori dopo che andava via. Mi sentivo bene, parlarci, ascoltarla, vederla ridere, abbracciarla, andavo a letto felice.

Non ho mai capito le persone che passano i fine settimana in improbabili corsi stimola emozioni. Se solo aprissero gli occhi..

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giovedì 26 marzo 2009

Buona Notte


Alle 2:41 ho acceso l’abat jour e il computer e word e ho iniziato a scrivere. Erano quasi due ore che provavo a dormire ma niente, il cuore sembrava mi fosse scivolato sotto, come una tazzina dal vassoio, finito accanto all’ombelico ha iniziato a pulsare forte, bum bum faceva il cuore forte e ci ho avvicinato la mano e l’ho sentito ancora bum bum e non riuscivo a dormire e ho acceso l’abat jour che non avevo sonno e mi sono messo a scrivere.

Ero partito dal sopracciglio con l’indice e avevo esplorato il viso e il naso e labbro labbro mento avevo attraversato il collo spalla e fianco intorno al seno fino all’ombelico il centro, l’ombelico e avevo seguito il dito con le labbra. Lei dormiva, niente eros in quel gioco, avevo solo voglia di farlo, se avessi avuto una macchinina in mano anziché l’indice e le labbra avrei fatto viaggiare quella lungo quell’autostrada di carne fino al centro, l’ombelico. Non l’avevo la macchinina, mi era rimasta la fantasia, era notte fonda e lei dormiva e non avevo sonno, mi si accavallavano i pensieri, non brutti, pensieri e basta, uno sull’altro – Ma che cazzo non dormi – mi avrebbe detto se si fosse svegliata ma per fortuna dormiva un sonno profondo.

Inspirava e espirava regolarmente, uno dietro l’altro i respiri come un orologio perfettamente funzionante, avevo sentito il cuore, batteva leggero leggero, assonnato pure il cuore, riposava e io non avevo sonno.

Fosse stata un’altra me lo avrebbe detto – Che problemi hai? – non avrebbe capito i miei zero problemi, solo poco sonno e voglia di giocare come fossero le quattro del pomeriggio e avessi finito i compiti – Fammi vedere il diario – mi diceva mia madre – ma il diario lo gestivo io per cui alle quattro del pomeriggio niente compiti e avevo voglia di giocare anche se la notte quasi andava verso il mattino e lei dormiva e altre non avrebbero capito e questo post sembra scritto da un’impasticcato – Di vigorsol mi sono fatto, vigorsol è un bicchiere di vino bianco – rispondo a chi se lo è domandato. Ho sentito il letto sotto di me ma non avevo sonno, due messaggi tre confusi e sinceri e innocui e divertenti a chi sa capire il gioco e mi ero ritrovato a scrivere un post incomprensibile. Solo Doris avrebbe potuto capire, lei e pochi altri stavolta.

Cantava Boa Sorte Vanessa Da Mata e Ben Harper Boa sorte cantavano insieme e le dita scivolavano sulla tastiera e cantavano Boa Sorte Vanessa Da Mata e Ben Harper e speravo non lo svegliassero il mio coinquilino assonnato, che lavora lui e dorme la notte non cazzeggia come sto facendo io e stavo meglio, aspettavo il sonno e lui si faceva desiderare come una prima donna, il sonno e lo aspettavamo sereni io e la fantasia, insieme a quest'ora.

Sogni d’oro

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martedì 24 marzo 2009

Come il grande puffo


Ho capito che non l’avrei più vista, ho sentito un morso al cuore e alla gola, un morso proprio, forte, fortissimo, una stretta coi denti che m’ha tolto il respiro e lasciato segni indelebili.

- E’ sempre così quando perdi una persona importante –

- Non è quello, è la delusione – dico io – è scoprire di non conoscerla per bene, scoprire che c’era dietro dell’altro, quella è una delusione. Pensiamo sempre di avere in pugno le persone, poi si rivoltano e la sorpresa ci spiazza, ci spaventa, non ci piace vederle uscire dalla gabbia, le persone dico, non ci piace -.

Ci sediamo sotto un albero enorme, sembra un grande fungo, un grande porcino verde, mi sento un puffo – Erano porcini le case dei puffi? –

- Io guardavo Holly e Benji, Mila al massimo, ero pure un po’ geloso di Shiro, è stata la prima donna di cui mi sono innamorato – mi dice Reddu – la seconda credo sia stata una delle Occhi di gatto, quella più giovane, capelli corti, bella figa ma non ci ho mai fatto niente, non è mai successo niente – e si accende una sigaretta come dopo un rapporto sessuale.

Non fumo mai dopo aver fatto l’amore, mi piace sentire il suo sapore, il suo odore, è come farsi il bagno e poi rotolarsi nel cassonetto dell’umido, una perdita di tempo, è così bello il profumo di una donna.

Vorrei entrarci dentro questo fungo. Quand’ero piccolo c’erano i biscotti dei puffi e ci mettevo sei ore a fare colazione, sei ore prima di far fare il bagno al puffo nel latte, puffetta poi pensavo non sapesse neanche nuotare, e poi mi dispiaceva mangiarli, ma dovevo – Altrimenti non cresci – mi diceva mia madre. Poi ho scoperto che a mangiare i puffi non si diventa grandi grandi, l’ho scoperto quando ho iniziato ad alzare la testa per guardare gli altri, non sono cresciuto tantissimo.

- Ti ricordi di Maria? –
- Si –
- E’ quando mi ha lasciato lei, così da un giorno all’altro, quando mi ha lasciato ho capito che non si finisce mai di conoscere le persone, ci condividi tutto, la casa, il bagno, lavarsi i denti mentre fa pipì, la colazione, il letto, i problemi i rutti e le paure e all’improvviso ti trovi senza e resti giorni a chiederti Perché e li capisci, solo li capisci che non ti ci puoi fondere con le persone. Ognuno segue la sua strada, la sua felicità, la persona che hai accanto è solo un mezzo di trasporto verso la ricerca della felicità. Poi qualcuna di quelle persone scende dal treno e prende il traghetto o l’aereo e continua a cercare sempre, chissà se esiste una felicità continua, chissà se esiste il per sempre, senza noia, senza sbattimenti vari, chissà cosa si desidera prima di morire –.

- Ma che centra quello che pensi prima di morire, magari muori nel sonno tu, dormi sempre, è probabile che rimani stecchito nel sonno. Chissà che mezzo di trasporto sono stato io –

- Un cesso con le rotelle –

- Perché un cesso con le rotelle ? –

- Perché ti ha riempito di merda –

- E tu che mezzo eri? –

- Io un passeggino, perché mi doveva spingere per costringermi a fare quelle pallosissime passeggiate in centro alla ricerca dell’ultimo paio di scarpe –


Ridiamo. Reddu alza la testa allunga la mano e strappa un ramo del nostro grande fungo, del nostro rifugio, la nostra tana di un attimo e ne fa tre pezzettini, si alza e mi saluta – E’ tardi devo andare a lavoro – e si allontana e resto solo e strappo l’erba e la lascio cadere trasportata dal vento come un grande giocatore di Golf, come faceva Lotty la mattina prima di mandarmi a scuola.

I sogni a volte ti svegli e non ci sono più. Passano le notti a farti compagnia e poi apri gli occhi e svaniscono, non li trovi più, ti abbracciano la notte e svaniscono con le prime luci dell’alba. La notte tornano però, ogni notte tornano a farti compagnia. Bisogna solo avere pazienza, attenderli i sogni, tornano sempre.

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lunedì 23 marzo 2009

Preservativi e carne


- Si - mi ha risposto – partiamo – mi ha risposto ed eravamo saliti sul treno e avevamo percorso decine di chilometri e ci eravamo fermati a Verona, stazione, Piazza Bra e l’arena e i vicoletti e Romeo e Giulietta e le promesse sul muro della loro casa – Chissà quante di queste sono ancora valide – dico – Secondo me bisognerebbe dare una passata di bianco al muro – dice lei – una passata di bianco e solo in pochi verrebbero a lamentarsi, pochi ininfluenti, innamorati ancora, innamorati – rido e la bacio sulla fronte, baciare sulla fronte funziona sempre, si sentono protette, non si è invadenti, si è paterni quasi, funziona baciare sulla fronte se non ci passi le giornate.


Mi sembrava scontato baciarla in quel posto sdolcinato, mieloso, meta di persone così diverse da lei, sarebbe stato come avvisarla prima – Ti posso baciare? è tutto così perfetto – avrebbe fatto lo stesso effetto e l’avevo portata a casa di Rutto, avevo preso i preservativi, - Li hai? – mi aveva chiesto prima ancora che ci fossimo baciati e mi aveva fatto prendere quelli più costosi – Agli altri sono allergica –

- Soldi spesi bene – avevo pensato – Soldi spesi benissimo – avevo pensato fino a quando a casa non aveva deciso di rimandare – Non ti sembra troppo presto? – mi aveva detto che neanche ci eravamo baciati – Ma presto per cosa scusa? – le avrei voluto dire – Si, in effetti – le avevo risposto invece e mi ero toccato il naso nervoso. Non volevo portarla a letto, mi piaceva insomma, ma visto che stavamo lì.. e poi per tirare i gavettoni alle macchine che passavano avrei comprato preservativi più scadenti insomma, ma non avevo avuto il coraggio di parlare.

Avevo sorriso e l’avevo avvicinata con garbo e aveva parlato dei suoi viaggi a Londra e in Brasile e a New York e di amicizie finite e durature e della madre e del padre e dei parenti tutti e aveva tirato fuori le foto dal portafoglio e avevo visto il nonno defunto e l’amica zoccola e il figlio della zia e mi aveva raccontato degli scout e della pallavolo della prima volta in treno, della paura dell’aereo e degli ascensori e di quando aveva vomitato in macchina – Vaff..quanto cazzo parla –

E mi ero allontanato con garbo – Scusa un attimo -

Mi è sempre piaciuta la prima volta, quando alzi le mutandine e trattengono il respiro, non ho mai capito se lo fanno per non far vedere la pancia o per il solletico o per il brivido di una mano sconosciuta da quelle parti. Per qualsiasi motivo fosse, sarebbe stato bellissimo farlo con lei e allora avevo potuto aspettare ancora un attimo poi sarei andato a fondo prima che fosse morta in apnea. – Com’è morta?- m’avrebbe chiesto il dottore – Ho alzato le mutandine, ho fatto finta di infilarci la mano e non l’ho mai fatto ed è venuta a mancare – avrei dovuto rispondere e non mi sembrava carino.

Mi ero svegliato in piena notte con Rutto di fianco – Che cazzo mi guardi – e si era girato dall’altra parte.

Lei aveva dormito nell’altra stanza – è troppo presto forse – ma mi aveva fatto comprare venti euro di preservativi, - Conservaci la carne in freezer – mi aveva detto Rutto, e si era girato dall’altra parte. Avevo comprato sei chili di pollo.

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sabato 21 marzo 2009

Strip teas


- Sei carino sai? Sei il più carino, belli li occhi, belli li capelli scuri, belli occhi – L’aveva già detto Belli li occhi, gliel avrei voluto dire ma avevo paura di sembrare scortese, non mi piace essere scortese.
- Mi piace ragazo italiano dolce belli occhi, li capelli, li occhi – mi diceva. Se chiudevo gli occhi mi sembrava di parlare con Gorbaciov

Era la più brutta della compagnia, c’era un’altra anche che non se la passava proprio bene certo, ma lei le batteva tutte anche con la luce soffusa – Pensa quando usciamo fuori sotto i lampioni – pensavo – e le avevo preso la mano un attimo – C’è scritto che è tardi e devo scappare – le avevo detto ed ero uscito fuori e senza voltarmi neanche una volta avevo attraversato piazza Navona e Campo de fiori e cercato la macchina per 40 minuti sul lungo Tevere – Vaff … - che non mi ricordo mai dove l’ho messa.

Non mi piace dormire con la televisione accesa, mi piace dormire in silenzio, anche la musica a un certo punto, anche se è bassa devo spegnerla , silenzio, non la sopporto proprio, arrivo al punto che mi sto addormentando e mi bussa la testa e allora devo spegnerla altrimenti non dormo. Non come Giulia che quando dorme mette i tappi nelle orecchie o come Ali che si gira e non la svegliano più le bombe o come Caty che – Non voglio Luca dai – o quell’altra lì, - Come si chiamava quell’altra? – Maria si chiamava, voleva dormissimo uno alla testa e l’altro ai piedi, anche dopo aver fatto l’amore, le piaceva così e basta, punto, niente discussioni, niente da fare.

Mi sveglio sempre con la pancia gonfia quando dormo con lei. Preferisco dormire io sul suo culo piuttosto che lei sul mio. Non so come fanno le donne, non fanno mai problemi, dormo sempre girato verso le loro spalle abbracciandole e non hanno problemi per tutta la notte o fingono forse - fingono - ed è per questo che la mattina a volte si voltano verso di me che sono verdi. Dolci Extraterrestri con lo stomaco in fiamme.

Una volta una ragazza francese aveva iniziato a mollare aria mentre mi faceva uno strip. Avevo fatto centinaia di chilometri per vederla, avevo immaginato quel momento per tutto il viaggio in treno. La desideravo da morire. Era uscita dal bagno dell'albergo con una vestaglietta vedo non vedo e mettendo il piede sul letto per fare la sexy le era scappata un po’ d’aria. Doveva essere ingolfata dall’emozione. Avevo fatto finta di niente, avevo guardato lo strip in apnea poi alla terza volta si era messa a piangere, aveva rovinato tutto – Putain de merd – aveva detto – putain de merd – e si era messa a piangere. - Ma dai su - le avevo detto, - ma che cazzo hai mangiato - le avrei voluto dire ma avevo paura di sembrare scortese, non mi piace essere scortese.


Non so se la amo, mi piace però guardarla negli occhi, quando ride e dice cose stupide e se ne vergogna mi piace, quando dice cose serie con la faccia ironica mi piace, quando si tocca i capelli mentre pensa mi piace oggi, mi piace.

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venerdì 20 marzo 2009

- E' l'aria che non è buona -



Non andava mai in bagno quando c’era lei, aveva paura entrasse subito dopo e pensasse fosse marcio dentro, faceva certe cagate quando viveva con lei, - E’ l’aria che non è buona – gli diceva la nonna al telefono – E’ l’aria di città – non era lui che era marcio dentro.

La sua vita l’aveva cambiata - un virus rarissimo – gli avevan detto luminari della medicina, - il destino, il fato – aveva detto suo padre invece e sua madre e parenti caritatevoli e conoscenti e preti e sconosciuti che l avevan saputo. Era cambiata da quando avevano fissato il giorno in cui avrebbero dovuto macellargli le gambe, da quel momento era cambiata. Non avevano fissato un giorno proprio, tipo il 12 o il 13 o il 17, il periodo si però, dopo qualche mese massimo avrebbero dovuto avviare le operazioni d’asporto, zac e sarebbe rimasto senza, puff sparite, prima che le cose potessero degenerare, che le ossa potessero marcire completamente all’interno del suo corpo in parte ancora sano.

Ha guardato il medico e poi sua madre, gli veniva da piangere e ha abbozzato un sorriso, era estate fuori, sentiva caldo
– Bene – ha detto
– Quanto tempo abbiamo ? – ha detto e ha sentito sua madre stringergli la mano e ha sentito il suo dolore in quella stretta e le lacrime disegnare l’angoscia sul suo viso ma senza guardarla, non l’ha guardata
– Bene – ha ripetuto confuso – Abbiamo detto tutto mi sembra – ed era uscito fuori. – Basta, piangere a che serve, non ha detto mica che sono destinato a morire domani, non devi fare così – le ha detto e gli veniva da piangere stordito da mille pensieri indecifrabili e l’ha abbracciata e le ha sorriso ancora e ancora una volta per rassicurarla.

Erano cambiate le idee all’improvviso, alcune persone accanto a lui, le prospettive, le possibilità, i pensieri, lo sguardo sulle cose. Non per forza in negativo, non sempre in negativo, erano cambiate punto.


Aveva pianto solo qualche ora più tardi, aveva preso la macchina, era salito fino in cima alla collinetta dietro casa, pioveva forte, aveva spento il motore e guardato il cielo e il mare e aveva potuto piangere senza essere visto da nessuno, ascoltato da nessuno, Dio forse, se aveva un attimo, Dio al massimo.

Aveva lasciato che le lacrime gli facessero il solletico sul collo, non gli piace asciugarle con le mani, gli piace sentirle fino in fondo, lasciarle libere, sentirle scivolare, farle asciugare dalla pelle.

Certe persone non ce l’avevano fatta, non se l’erano sentita, alcune che gli stavano vicino si erano allontanate per non condividere, perché non ci riuscivano proprio e non poteva non capirle, doveva farlo per forza, capirle. Alcune soltanto, non tutte. Iniziavano a sorridergli meno, neanche fosse stato contagioso o lo facevano con meno spontaneità. – Peggio, peggio – gli rimbombava nella testa dello svegliarsi e rendersi conto che gli mancava effettivamente qualcosa che prima aveva. Non c’è più, punto.

- E’ peggio quando perdi una persona importante per uno stupido errore, allora si. Non in questo caso -. Si ripeteva, così si ripeteva e aveva voglia di correre e rincorrere consumarsi di acido lattico distruggerle prima che gliele portassero via. Questo desiderava quando gli tremavano le sue gambe, cigolavano, si assopivano.

Non andava mai in bagno quando c’era lei, aveva paura entrasse subito dopo e pensasse fosse marcio dentro, faceva certe cagate quando viveva con lei, - E’ l’aria che non è buona – le diceva la nonna al telefono – E’ l’aria di città – non era lui che era marcio dentro.

Non era poi cambiato molto.

Foto di Raffaele Cabras http://www.mixyourshot.com/

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giovedì 19 marzo 2009

A presto


- Che pazza che sono – a certe donne piace da impazzire sentirsi così, dipingersi folli, immaginare di essere quello che non riescono ad essere veramente, immaginare di lasciarsi andare. E’ per questo motivo che il sesso per noi è anche pratica e per loro spesso solo calda fantasia nelle notti insonni. – Tu mi vedi così ma io sono proprio pazza – dice e l’assecondo che non ho voglia di spiegarle ciò che penso in questo momento – Tu mi vedi a modo, ma sapessi le cose che ho fatto – dice e mi annoia un po’ che vorrei avesse il coraggio di dipingersi per come è e non per come si vorrebbe.

- uff voglio una femminuccia, sai quelle cose con le tette e le labbra lisce e i capelli lunghi e il due pezzi al mare? Quella cosa li voglio – aveva detto Davide e l’avevo assecondato e ora che l’ho davanti mi annoio da morire e forse pure lei che non abbiamo argomenti in comune, nessun argomento in comune e meno male che lei ha le sue storie matte da raccontarmi altrimenti dovrei raccontarle le mie e proprio non ne ho voglia – Una volta io e le mie amiche – mi dice – io e le mie amiche in discoteca – mi dice – una volta abbiamo ballato con il ragazzo più brutto che c’era. C’era la canzone dei Chimical Swazswaz in disco unz unz unz e abbiamo ballato con il più brutto che c’era, noi tre belle fighe e lui gasatissimo poverino –

- Che ridere – dico – che ridere – mentre passeggiamo e guarda le scarpe per la tesi della sua amica che si laurea – ..in economia, 110 assicurato, ma non studia, siamo sempre in giro, non studia ma è particolarmente intelligente lei, è estremamente intelligente -

Ci sono famiglie che non sanno starsene al loro posto. Non ho mai sopportato chi pensa che un figlio sia una sua seconda possibilità per fare le cose che non è riuscito a fare. Quei padri e quelle madri che opprimono, stanno troppo dietro, ordinano per far raggiungere ai figli obbiettivi che non gli appartengono.

- E’ una sola la vita, è una sola cazzo – vorrei dire a quei genitori – come chiedi scusa a tuo figlio quando si accorge che è stato un burattino nelle tue mani? Quando la signora con l’ascia e il cappuccio nero gli dice che si è fottuto la sua unica possibilità? – E invece neanche stavolta dico niente anche se lei inizia ogni frase con – Mi ha detto mia mamma – e mi sembra di morire ogni volta che lo ripete e vorrei lasciarla qui e cominciare a correre ma non posso – ecchecazzo – non posso.

Torno a casa molto tardi, ascolto il silenzio a Casalotti entro in Facebook e mi rendo conto che mi ruba il tempo e devo staccare, per un po’ devo staccare che ogni tanto fa bene, sentirsi liberi, schiavi di niente, neanche di guardare le notifiche o la posta o il telefono e allora mi propongo una pausa mi disattivo e scrivo quest’ultima cazzata per il blog, dopo pausa, silenzio. Ci sono altri modi per incontrarsi penso, - se mi piace davvero troverò altri modi per incontrarla – penso, - basta volerlo -.


- Sono stronzate quelle che scrivi - mi aveva detto uno un pò nervoso
- Lo so - gli avevo risposto - lo so bene - e avevo continuato a scrivere

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martedì 17 marzo 2009

Certe donne



Facevamo l’amore sdraiati di lato, da dietro potevo abbracciarla bene e lei ruotava il busto verso di me, e lei si voltava verso di me con il viso mi guardava e mi piaceva baciarla in quel modo. Se stava sopra di me sorrideva mentre faceva l’amore, sorrideva e si mostrava poi si abbassava e mi baciava labbra su labbra ed era bella, serenamente bella, magicamente bella mi sembrava mentre facevamo l’amore.

Noiose certe coppie le trovavo noiose, annoiate, rassegnate ad una convivenza forzata. Certe coppie si erano date tutto, consumate, certe coppie che non avevano mai smesso di guardarsi negli occhi – Il Mondo non bisogna mai perderlo di vista – avrei voluto dire – e il mondo che non bisogna perdere di vista, non basta guardarsi fissi l’un l’altro, bisogna guardare in un'altra direzione, insieme ma in un'altra direzione, il futuro bisogna guardare, con curiosità bisogna saper guardare il cielo, le nuvole, i formicai la natura tutta e fare progetti, nessuna coppia a resistito alla decomposizione dovuta alla noia, all’abitudine-. Questo avrei voluto dire a certe coppie che – Sono dieci anni che stiamo insieme – e le sere le passavano a sbadigliare, lamentarsi, - Stiamo bene così, noi stiamo bene – certe coppie che non sapevano rinnovarsi, uno voleva, l’altro sapeva solo lamentarsi di tutto – Non fai questo, non fai quello, sei così, sono stanco – e l’amore era finito da un pezzo in quelle coppie e gliel’avrei voluto dire e invece – Fanculo – che non sapevo risolvere neanche i miei di problemi.

-Se le conosci e ti avvicini ci stai provando – mi ha detto Giovanni – Se le conosci e non ti avvicini sei frocio o asociale – mi ha detto Giovanni – e allora non sono mai contente. Si lamentano ste cazzo di donne comunque ti comporti, qualsiasi cosa fai, non si sentono persone, donne si sentono e basta, prede, come bastasse un bel culo a fare una persona interessante – mi aveva detto Giovanni

-E tu perché ti ci eri avvicinato? –

-Lo sai che volevo scoparmela lo sai, ma anche se non avessi voluto avrebbe pensato lo stessa cosa. Sempre quello pensano e noi uguale insomma, se una donna ti sorride una volta pensi subito che è simpatica, se ti sorride due volte pensi che te la puoi portare a letto, è così che funziona. E allora il rapporto è malato, non c’è cura così, non può funzionare -. Dice Giovanni e si morde il labbro nervoso.


-Bisogna avvisarle subito. E’ così che faccio io, le prendo da una parte e le avviso Senti io non ti voglio scopare però mi stai simpatica e ho voglia di conoscerti dico, così dico e le cose sono chiare. Poi mi dovessi innamorare la avviso insomma, senti io mi sto innamorando che vuoi fare? Ti innamori pure tu di me o mi sfanculi? Di solito mi sfanculano ma almeno non possono dirmi che non sono stato chiaro. Ogni volta che chiami una donna per uscire la prima cosa che fa è chiamare le sue amiche ed avvisarle Mi ha chiesto di andare fuori, ma per chi mi ha presa? Dicono Mi ha chiamata per berci qualcosa, come mi vesto? Dicono Mi ha invitata a cena fuori, che dici la faccio la finta di pagare almeno o è poco educato? Dicono ed è questo che mi da fastidio porca miseria, mica prendono ed escono, telefonano, si consultano, si preparano, non si lasciano mai andare cazzo. Quelle che non hanno paura di sporcarsi il culo e si siedono ovunque, quelle mi piacciono, quelle che sanno che poi possono lavarseli i Jeans e che non urlano se il tacco dodici si incastra tra un sanpietrino e un altro, quelle mi piacciono -. dico

Piazza Navona e i suoi artisti e io e lui e le donne che ci passano accanto e un bimbo con la bicicletta e il padre che ne vuole fare un grande uomo – Devi andare senza le rotelle – dice – Senza le rotelle devi andare – e il bimbo che si sfascia in terra ma almeno il padre è contento che un metro con due ruote è riuscito a farlo. E il bimbo a sfaciarsi a terra, un metro e mezzo stavolta.

- Se ti piace diglielo – dice lui – Diglielo e sorridi – dice lui – Non esiste emozione a cui valga la pena rinunciare – dice Giovanni – Nessuna emozione a cui valga la pena rinunciare, negativa o positiva che sia – dice e cammina e piove. E piove sulle nostre teste calde, piove ed è incantevole e si sciolgono certi colori sotto la pioggia e si sciolgono certe tele sotto la pioggia e si decompongono come certe storie sotto un cielo di noia.

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lunedì 16 marzo 2009

Amore mio


Camminiamo in silenzio lungo il viale uno accanto all’altro e non ci diciamo che poche parole. Non ho mai sentito il profumo dei suoi capelli. Mi piacerebbe sentirlo. Il naso alla fine non mi manca, quello no che non mi manca. Mi volto e la guardo un attimo con la coda dell’occhio. E’ bella, particolarmente bella quando sorride. Bambini lungo il viale si rincorrono – Dici che piove? – mi dice, ma non rispondo. Non lo so se piove, non ci ho mai capito niente del tempo, isobare e cose del genere, neanche quando ho fatto fisica e chimica e tutte le materie dove c’era qualche attinenza con la matematica e i segni, due c’avevo, tre al massimo c’avevo.

I capelli legati in una coda a scivolare fino al seno. - Chissà quante volte ha detto ti amo – penso – chissà a chi lo ha detto e se ci ha creduto veramente, se ha creduto di amarlo per un momento o se ha pensato di poterlo amare a lungo, in eterno – penso

- Lo sai perché non riesco a lasciarmi andare? – dice e abbozza un mezzo sorriso. Il sole nasconde i suoi raggi dietro ad una nuvola per un attimo poi esce fuori Cucù, ed esce fuori il sole Cucù e ci avvolge con i suoi raggi – Lo sai perché non riesco a lasciarmi andare? Non mi fido di lui, non riesco a fidarmi. Ho guardato le sue mail una volta, di nascosto le ho guardate e si sente con una che non mi convince per niente, e non me ne ha mai parlato di questa lo stronzo, non me ne ha mai parlato. Io ci ho provato a lasciarmi andare ma poi ho paura mi faccia soffrire come quell’altro e allora mi blocco e risulto fredda. Fredda e acida come mi dice lui a volte, fredda e acida –

Tiene il muso mentre parla, come si stesse sfogando con lui. Si aprono e chiudono le labbra carnose, rosa come un fiore a primavera, le labbra si aprono e chiudono in quel vortice di parole. Non sono quelle che voglio, non voglio assaggiare le sue labbra stasera.

- L’emozione è tutto nella vita, quando siete morti è finita, l’emozione è tutto nella vita, quando siete morti è finita – Vinicio Capossela mi passa per la testa

La vita stretta la fa sembrare fragile, la camminata incerta mi ricorda qualcosa, quella maledetta camminata incerta.

- Non credo ti debba far condizionare dal passato – dico – chi resta legato al passato presto rischia di restare senza. A furia di non vivere si volterà e alle spalle troverà solo un buco nero tra il presente e quel lontano passato. Bisogna creare sempre – dico io – bisogna creare sempre – dico io

Mi tiene la mano per un attimo, non è quella che voglio stasera, non è quella.

La guardo è penso che è stato bello incontrarla ma non le dico niente, si capisce che è stato bello incontrarla e vederla andare via, svanire così senza che niente abbia potuto sporcarlo quel rapporto. Niente era riuscito a sporcarlo. L’avevo incontrata ed era andata via. Il tempo di una passeggiata ed era andata via – Amore mio – penso e mi viene da ridere – Amore mio – penso fino a quando riesco a immaginare – Amore mio – penso e non rimane che una sagoma lontana.

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domenica 15 marzo 2009

Il Caffè Letterario


C'era una donna li al bancone del Caffè Letterario, una donna sulla trentina alta, gonna sotto il ginocchio, distinta, capelli mossi fino alla spalla, una bella donna. Ha bevuto prosecco e vino rosso e m'ha guardato e l'ho guardata. Con un corpetto che le strizzava il seno, la vita stretta, un gran culo. M'ha guardato e l'ho guardata. Teneva il bicchiere con una classe che non avevo prima neanche immaginato. M'ha guardato - Ti sposti o no che devo passare? - ed è andata via.

Passando mi ha sfiorato il braccio e ho sentito il suo profumo di donna, quello della sua pelle e quello che si era spruzzata vanitosa davanti allo specchio qualche ora prima. Mi è sembrato di distinguerli per un attimo mentre mi camminava accanto.

A volte mi sembra di distinguerli gli odori. A volte mi sembra di sentirli anche quando non è materialmente possibile. Guardo una foto e li sento. Il profumo dell’erba bagnata e l’odore marcio di Rey, il caldo di certe foto d’estate mi sembra di sentirlo certe volte, come fossi ancora lì, come potessi tornare indietro.

Non è questo che voglio, devo passare ancora quindici giorni dentro questa casa. La vivo solo, o quasi, per quel poco che ci sto. Non è una casa ma un cantiere, niente resta, non resta niente. Come in un cimitero, è morta questa casa non ha più anima, aspetta di essere abbandonata, non emana nessun calore, nessuna emozione, quattro mura per coprirmi, solo questo. I vicini che si lamentano non hanno più una voce, le loro prediche si perdono nell’aria, non ha senso riordinarla, non è una casa è un ripostiglio che presto verrà abbandonato, il deserto, sono qui per caso, di passaggio, per un attimo.

Non ho rimpianti o ripensamenti o angosce, stanchezza a volte, pochi minuti liberi nella testa, tutto occupato. Un giorno dovrò fermarmi. Sto bene – Fanculo – il resto non mi interessa per niente, certe persone, certe minacce, certi comportamenti, quelli non mi riguardano più.

Ho seguito quella donna sulla trentina alta, gonna sotto il ginocchio, distinta, capelli mossi fino alla spalla, una bella donna. Quella che ha bevuto prosecco e vino rosso e m'ha guardato e l'ho guardata. – Ti sposti che devo passare – doveva inseguire la sua vita. Io mi sono seduto, la mia vita l’ho qui con me.

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venerdì 13 marzo 2009

Il walkman di mia sorella


Ci ho dormito ma ero abusivo, semplicemente abusivo, maledettamente abusivo per qualcuno. Loro si che lo avevano capito – Abusivo ma sincero – mi avevan detto - abusivo ma sincero nelle intenzioni – avevano pensato e avevo dormito sfiorando corpi che non mi appartenevano, stringendo mani poco prima unite ad altre in promesse difficili da mantenere, e avevo dormito cullato dal calore di chi aveva solo voglia di stare insieme – Questa notte, insieme –

Il walkman di mia sorella. Quello si che mi tiene compagnia certi giorni, certe sere in motorino con le mani congelate a sfrecciare per le mura Vaticane e piazza Irnerio e Cornelia Casalotti Boccea da solo con le cuffie e la gente che passa e qualcuno che bestemmia e le coppie a baciarsi per la strada come non ci fosse nessuno, come vivessero per loro – Io per te e tu per me amore – sembrano dirsi –Tu per me – soprattutto sembrano dirsi, e la musica che si mischia con le sirene e le frenate e i clacson di automobilisti inferociti dal traffico, dalla vita che si perde dentro quella maledetta via, imbottigliati, come in gabbia dentro lo stress della città eterna, traffico e parcheggio e le cuffie di mia sorella a Roma con la mia musica a farmi compagnia.

Lei conosce le mie paure e la mia forza e le mie debolezze e i miei segreti e a volte mi chiedo se è riuscita a tenerli per se, a custodirli e a farne tesoro o li ha sbattuti in piazza in una serata tra amici e amiche dopo l’aperitivo, dopo l’aperitivo vestiti eleganti e sensuali e ingioiellati che così si può stare tranquilli che siamo quel che abbiamo, quel che indossiamo, quel che dobbiamo essere certe sere questo siamo.

Non è brava a lasciarsi andare. Non lo è mai stata in fondo, timorosa di chi le può portare via qualcosa. Non si fida, non si fida proprio degli altri. Sorride, scherza a volte poi certe sere si sente vuota. Torna a casa e si sente vuota – Cos’ho sbagliato – pensa, come fossero tutti li a pensare a lei. Non si accetta forse, è la storia che l’ha portata a questo – la sua storia – penso –la sua storia incrociata ad altre – l’ha portata ad essere così egoista.

Dormo meglio. Arrivo stanco e mi addormento, certe voci che mi arrivano all’orecchio e dopo escono senza lasciare traccia - nessuna traccia stavolta fino a che sono solo quello che voglio essere - penso e vado a dormire stanco.

La notte è tiepida dopo tutto sto sole. Lei ha calcato il palcoscenico della serata mostrando denti bianchi e labbra carnose ai presenti ma stava da tutt’altra parte, dentro la sua vita – la sua di vita – mentre Marzo portava via la libertà dello studente e lo sentivi strisciare via lontano, Marzo – Casa e ufficio e figli e bugie da oggi in poi – ha pensato qualcuno – Casa e ufficio e abitudine e posto sicuro e soldi da conservare e collezioni da mostrare agli ospiti e classi sociali da scavalcare, sul traguardo c’è scritto Successo aveva pensato qualcuno. Chi aveva smesso di sognare. Chi aveva sottovalutato la forza dei nostri sogni.


Chi quando andava via non lasciava nessuna traccia. Una di quelle persone aveva pensato così.

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sabato 7 marzo 2009

Una goccia



- Ti porto fuori – le dico – puoi fumare in macchina se vuoi, se fumi, se hai iniziato a fumare. Ho dei sigari accanto al tuo sedile puoi provare uno di quelli. Hai con te il sacco a pelo? Il resto l’ho portato io, non ho niente con me, non ci serve altro. le dico così e poi la prendo e la porto con me e a piedi le faccio girare tutta l’isola, spiagge e boschi e montagne e calette intime e segrete e fusti robusti e grossi e secolari, io lei e il sacco a pelo e basta, io e lei. Parcheggio la macchina in un posto, la nascondo e poi faccio tutto il giro dell’isola, l’isola quella vera, non quella delle cartoline che quei cazzo di milionari spediscono alle loro mogli cornute, piene di sfarzo povere d’amore, povere illuse. La prendo e la porto con me e passiamo l’estate così senza bisogno di niente, io lei e la natura e poi la sposo, trovo una chiesa abbandonata e mi sposo da solo io lei e Dio se c’è, se non ha altro da fare, che ci sposi, Dio.

-Quanto cazzo hai bevuto? O hai fumato e non mi hai detto niente? – mi dice Giovanni – Dove cazzo l hai trovato il fumo? Nel cervello ce l’hai nascosto. Magari è sposata ora o lo starà per fare, ha un figlio insomma non starà certo lì ad ascoltare le tue cazzate – Mi dice Giovanni che ha bevuto e sembra lucido a momenti o lo regge meglio lui che sul fegato c’ha scritto Doppio Malto ormai da tempo. Fruga la tasca e toglie fuori l’indirizzo di Odair

– Chissà quanto dobbiamo camminare – dice e poi chiama un taxi che nessuno ha detto che dobbiamo arrivarci a piedi. Dovevamo uscire prima ma poi ha incontrato la sua donna e degli amici e abbiamo iniziato a bere e vederlo che si baciava e vedere lei affettuosa e sensuale e vogliosa mi ha messo malinconia e allora ho finto di stare male e gli ho detto – Forza andiamo- e l ho portato via e prima di staccarsi del tutto ha voluto baciarla ancora una volta e un’altra ancora e ho guardato il cielo e la luna era già alta sopra le nuvole. – Andiamo o facciamo tardi – e siamo andati.
-Certo non è proprio il modo di presentarsi –
-Ho capito ma è un mago, un saggio, un maestro insomma non è tuo padre – rispondo e facciamo una stradina sterrata che ci porta davanti a un cancello azzurro aperto e qui scendiamo. Siamo arrivati.

-Suona dai –

-Ma suona cosa che non c’è campanello, entriamo e basta. Odaiiiir, Odaiiiir – ed esce fuori a petto nudo lui coi suoi ottanta anni, robusto, capelli lunghi e bianchi e la barba e ci accoglie nella sua casa. Non ci chiede chi ci ha mandato o cosa vogliamo o cosa ci facciamo dentro la sua proprietà privata in cima a questa collina di ossigeno fiori e stelle, Odair non ce lo chiede e ci invita ad entrare e ci offre delle arance – Mangiate – ci dite – Mangiate e poi parliamo – E noi mangiamo e ci guardiamo intorno. Una casa completamente vuota, un tappeto quadrato, dei cuscini color lampone, un camino e poco altro. – Essenziale – dice Odair vedendomi incuriosito – Questa casa è essenziale, con dentro tutto quello che mi serve, niente di più – Niente televisione, ne radio, solo tanti libri e un gatto bianco e grasso – rrrrr – a strusciarsi sulle mie gambe – rrrrrr -.

E’ a suo agio Giovanni, sbuccia l’arancio e lancia la buccia spessa di un rosso acceso e ordina al gatto di andare a prenderla. Odair ride – Non è un cane – dico io ma lui si diverte e lo fa ancora. Poi restiamo in silenzio a lungo. Ci studia il gatto e Odair ci osserva incuriosito poi parla – Sapevo sareste arrivati a giorni, vi aspettavo. – dice - Mi piace ricevere degli amici, io e il mio gatto siamo felici di ricevere delle visite – dice, prende un panno di pelle umido e lo passa sul viso – Devo riposare – ci dice – parleremo al mio risveglio – dice e rimaniamo a guardarci come due scemi.

Giovanni tira il gatto per la coda e lo avvisa – Ti riavvicini e finisci con le patate come un coniglio -

– Smettila – e ricomincia a tirare bucce d’arancio poi si alza e scendiamo verso la spiaggia e ci immergiamo dentro il mare e una goccia mi attraversa il viso come una carezza e la faccio scivolare fino a farla ritornare mare. E una goccia mi attraversa il collo e la faccio scivolare fino a farla ritornare mare. E una goccia si aggrappa al mento e dopo cede per poter ritornare mare come il giorno s’aggrappa all’altro per poter diventare storia. Una storia.

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