sabato 7 marzo 2009

Una goccia



- Ti porto fuori – le dico – puoi fumare in macchina se vuoi, se fumi, se hai iniziato a fumare. Ho dei sigari accanto al tuo sedile puoi provare uno di quelli. Hai con te il sacco a pelo? Il resto l’ho portato io, non ho niente con me, non ci serve altro. le dico così e poi la prendo e la porto con me e a piedi le faccio girare tutta l’isola, spiagge e boschi e montagne e calette intime e segrete e fusti robusti e grossi e secolari, io lei e il sacco a pelo e basta, io e lei. Parcheggio la macchina in un posto, la nascondo e poi faccio tutto il giro dell’isola, l’isola quella vera, non quella delle cartoline che quei cazzo di milionari spediscono alle loro mogli cornute, piene di sfarzo povere d’amore, povere illuse. La prendo e la porto con me e passiamo l’estate così senza bisogno di niente, io lei e la natura e poi la sposo, trovo una chiesa abbandonata e mi sposo da solo io lei e Dio se c’è, se non ha altro da fare, che ci sposi, Dio.

-Quanto cazzo hai bevuto? O hai fumato e non mi hai detto niente? – mi dice Giovanni – Dove cazzo l hai trovato il fumo? Nel cervello ce l’hai nascosto. Magari è sposata ora o lo starà per fare, ha un figlio insomma non starà certo lì ad ascoltare le tue cazzate – Mi dice Giovanni che ha bevuto e sembra lucido a momenti o lo regge meglio lui che sul fegato c’ha scritto Doppio Malto ormai da tempo. Fruga la tasca e toglie fuori l’indirizzo di Odair

– Chissà quanto dobbiamo camminare – dice e poi chiama un taxi che nessuno ha detto che dobbiamo arrivarci a piedi. Dovevamo uscire prima ma poi ha incontrato la sua donna e degli amici e abbiamo iniziato a bere e vederlo che si baciava e vedere lei affettuosa e sensuale e vogliosa mi ha messo malinconia e allora ho finto di stare male e gli ho detto – Forza andiamo- e l ho portato via e prima di staccarsi del tutto ha voluto baciarla ancora una volta e un’altra ancora e ho guardato il cielo e la luna era già alta sopra le nuvole. – Andiamo o facciamo tardi – e siamo andati.
-Certo non è proprio il modo di presentarsi –
-Ho capito ma è un mago, un saggio, un maestro insomma non è tuo padre – rispondo e facciamo una stradina sterrata che ci porta davanti a un cancello azzurro aperto e qui scendiamo. Siamo arrivati.

-Suona dai –

-Ma suona cosa che non c’è campanello, entriamo e basta. Odaiiiir, Odaiiiir – ed esce fuori a petto nudo lui coi suoi ottanta anni, robusto, capelli lunghi e bianchi e la barba e ci accoglie nella sua casa. Non ci chiede chi ci ha mandato o cosa vogliamo o cosa ci facciamo dentro la sua proprietà privata in cima a questa collina di ossigeno fiori e stelle, Odair non ce lo chiede e ci invita ad entrare e ci offre delle arance – Mangiate – ci dite – Mangiate e poi parliamo – E noi mangiamo e ci guardiamo intorno. Una casa completamente vuota, un tappeto quadrato, dei cuscini color lampone, un camino e poco altro. – Essenziale – dice Odair vedendomi incuriosito – Questa casa è essenziale, con dentro tutto quello che mi serve, niente di più – Niente televisione, ne radio, solo tanti libri e un gatto bianco e grasso – rrrrr – a strusciarsi sulle mie gambe – rrrrrr -.

E’ a suo agio Giovanni, sbuccia l’arancio e lancia la buccia spessa di un rosso acceso e ordina al gatto di andare a prenderla. Odair ride – Non è un cane – dico io ma lui si diverte e lo fa ancora. Poi restiamo in silenzio a lungo. Ci studia il gatto e Odair ci osserva incuriosito poi parla – Sapevo sareste arrivati a giorni, vi aspettavo. – dice - Mi piace ricevere degli amici, io e il mio gatto siamo felici di ricevere delle visite – dice, prende un panno di pelle umido e lo passa sul viso – Devo riposare – ci dice – parleremo al mio risveglio – dice e rimaniamo a guardarci come due scemi.

Giovanni tira il gatto per la coda e lo avvisa – Ti riavvicini e finisci con le patate come un coniglio -

– Smettila – e ricomincia a tirare bucce d’arancio poi si alza e scendiamo verso la spiaggia e ci immergiamo dentro il mare e una goccia mi attraversa il viso come una carezza e la faccio scivolare fino a farla ritornare mare. E una goccia mi attraversa il collo e la faccio scivolare fino a farla ritornare mare. E una goccia si aggrappa al mento e dopo cede per poter ritornare mare come il giorno s’aggrappa all’altro per poter diventare storia. Una storia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella Gà!

Unknown ha detto...

...bella soprattutto l'idea del matrimonio così sincero...bacio ghandi!