mercoledì 10 dicembre 2008

Un passaggio





Io glielo avevo dato lo stesso un passaggio. Un carnevale di 15 anni prima ci eravamo messi le mani addosso, questione di coriandoli e bombolette spray, poi più nulla, oltre dieci anni di silenzio, non mi aveva più parlato, a vederlo mi sembrava non lo avesse più fatto con nessuno.

Si era avvicinato tendendomi la mano – Ciao, come stai – e mi aveva chiesto un passaggio tutto d’un fiato con lo sguardo rivolto verso terra senza dire altro. Come se ci fossimo salutati altre volte, come se le nostre vite si fossero incrociate in qualche occasione che non riguardasse la questione dei coriandoli e delle bombolette spray. Un passaggio ci aveva fatti incontrare, un servizio, un piacere, un occasione o come si volesse chiamarla. Dipende come le guardi le cose.

Avevo allungato la mano e sorriso – Finisco alle sette e mezza –

Lavorava in qualche peschereccio e il suo odore copriva quello non troppo gradevole di Jimmy, così nonostante il freddo avevo aperto un poco i finestrini e respirato a scaglioni, una volta ogni curva, una volta ogni chilometro, una volta e basta in tutto il resto delle strada. Io glielo avevo dato lo stesso un passaggio. In macchina neanche una parola, sguardo fisso al finestrino,sguardo spento verso l’orizzonte, sguardo rivolto dalla parte opposta. Era sceso e non né avevo sentito la mancanza, avrebbe probabilmente continuato a non salutarmi, forse a non salutare nessuno.

Per alcune decine di mesi ero stato il burattino di corte, al servizio di chi doveva risolvere i propri problemi, alla corte di chi chiedeva ma dava da un'altra parte, al cospetto di chi, accecato da quella sensazione, avevo servito senza domandarmi se fosse giusto. Neanche quello mi doveva mancare, sorretto da una banda di rustici compagni, burdi e leali, scontrosi ma onesti, divertenti ma sinceri, loro che mi avevano sempre detto le cose come stavano, senza paura di ciò che erano nè dei giudizi della gente, loro senza bisogno di essere universalmente riconosciuti, loro dalla barba di qualche giorno, quelli curati ma quando né hanno voglia, schiavi di nessun pregiudizio sociale, liberi di fare le cose che attraversavano il cervello, liberi di vivere.


Per alcune decine di mesi ero stato il burattino di corte poi avevo parcheggiato e fatte le scale avevo ricominciato a scrivere, tutto di fila, senza fermarmi, senza pensarci, per il gusto di farlo, per la voglia di buttarlo giù.

1 commento:

Anonimo ha detto...

..burattino di corte....? complimenti...